Negli ultimi anni si è discusso molto dell’ingresso nel mondo del lavoro dei Millennials: a detta di alcuni per la ventata di novità che hanno portato a livello di competenze tecnologiche, di approccio e interessi; ad ascoltare altri per la poca capacità di adattarsi al lavoro, la mancanza di rispetto dei ruoli, la poca determinazione nel prendersi spazio in azienda.
Personalmente non ritengo che si possa fare una generalizzazione così semplicistica, provo quindi a cogliere quello che è il più importante elemento di novità che questa generazione ha portato nelle imprese: l’attenzione ai propri valori.
Se, infatti, i Baby Boomers si sono concentrati sul lavoro in quanto tale e sul far nascere le imprese e la Generazione X ha puntato tanto su carriera e crescita professionale, i Millennials hanno posto l’attenzione sui valori. Dall’ambiente al rispetto personale fino alla diversity, la Generazione Y ha fatto sì che questi contenuti trovassero uno spazio di dibattito all’interno delle aziende, risvegliando l’interesse di Generazione X e Baby Boomers sugli stessi temi.
Ora nelle imprese arrivano anche le ragazze e i ragazzi della Generazione Z, i cui interessi e modi di guardare al lavoro saranno ancora diversi: siamo pronti ad accoglierli ascoltando le loro proposte e valorizzando le differenze?
Age management: ascolto e osservazione
Ecco perché una scena come quella descritta nell’antefatto di questo capitolo non solo è attuale, ma merita attenzione. Ed ecco perché la soluzione non sta nel dare ragione all’uno o all’altro, ma nel mettere in atto pratiche di age management, un’opzione non più trascurabile per creare luoghi di lavoro in cui tutti trovino gli strumenti per esprimere le proprie potenzialità e seguire i propri desideri.
Luoghi in cui essere cioè felici di lavorare, portando valore all’azienda e ai colleghi e traendone un riconoscimento valido per sé. Ben sapendo che quel riconoscimento sarà differente non solo per ogni generazione, ma per ognuno di noi.
Ogni generazione parla la propria lingua, fatta di desideri, comportamenti e riconoscimenti. Una lingua fatta di parole che devono essere scelte e modulate in base agli interlocutori, per raggiungere il cuore di ognuno di loro.
Queste sono le quattro generazioni che abbiamo oggi al lavoro:
• Baby Boomers: i nati tra il 1946 e il 1964;
• Generazione X: i nati tra il 1965 e il 1981;
• Generazione Y o Millennials: i nati tra il 1982 e il 1999;
• Generazione Z: i nati dal 2000 in avanti.
Ogni generazione ha un vissuto diverso e un’età differente, che costruisce una «lente generazionale», così come la definiscono Ron Zemke, Claire Raines e Bob Filipczak in Generations At Work: attraverso questa lente dobbiamo guardare tutte le iniziative aziendali e i comportamenti della leadership.
La sfida è costruire aziende che tengano conto delle aspettative di ogni generazione e rappresentino un luogo di dialogo e di scambio, fruttuoso, tra i dipendenti di ogni età. «Sicuramente lo stipendio è un punto centrale, però credo che non sia più determinante nella scelta dell’azienda per la quale lavorare.
Importa di più l’esperienza lavorativa che offri, l’ambiente di lavoro che metti a disposizione, soprattutto per i giovani», spiega Silvia Bolzoni, CEO e presidente di Zeta Service: «Per loro contano tantissimo la flessibilità rispetto ai tempi e al luogo di lavoro, la possibilità che dai di crescere e di continuare ad apprendere, e anche di conoscere il proprio percorso in azienda. Hanno bisogno di sentirsi valorizzati e incoraggiati nell’essere creativi e nel portare nuove idee».
I Millennials hanno acceso la Generazione X
Prima dell’arrivo dei Millennials il lavoro era considerato uno degli aspetti più importanti della vita, l’ambito in cui ciascuno poteva realizzarsi. Si viveva per lavorare. Con la crisi economica, e la successiva incertezza o instabilità nel lavoro, sono cambiate le priorità delle persone, così come la percezione dell’importanza di alcuni benefit aziendali e spazi di libertà per ogni dipendente.
I Millennials sono stati la prima generazione che ha mostrato la necessità di affrontare il lavoro come parte della vita e non come il centro della vita: importante, insomma, ma c’è molto altro.
Così almeno ascoltandone le voci, anche se guardando i numeri che emergono dalle ricerche non sembra una generazione così diversa dal passato. Nell’indagine I percorsi di carriera dei Millennials: visione per il 2020, realizzata da Manpower, le tre cose più importanti quando questa generazione cerca lavoro sono:
• stipendio (92%);
• sicurezza (87%);
• ferie/permessi (86%).
Insomma, una generazione vecchia e conservatrice, a leggere i dati. C’è però un punto in più: i Millennials si sono dimostrati interessati anche ad altro, introducendo nel dizionario del lavoro concetti come «Lavorare con persone di valore» (valutato importante dall’80% degli intervistati nella ricerca di Manpower) e «Lavoro flessibile» (79%).
Qui è entrata in gioco la Generazione X, che nel frattempo ha quasi ovunque sostituito i Baby Boomers alla guida delle aziende: seguendo questo nuovo trend, sono stati i nuovi manager e top manager della Generazione X a introdurre nelle aziende concetti come libertà, crescita e tempo libero, diventando artefici di un cambiamento che era evidentemente necessario e di cui i Millennials sono stati la miccia. La Generazione Y ha cioè acceso nella Generazione X una voglia di diversità, inclusione, attenzione agli altri che prima erano considerate poco rilevanti.
da “Company Culture. Il sistema operativo che fa crescere le aziende”, di Alessandro Rimassa, Egea editore, 2020, 30 euro