Il nome di Giulio Regeni, il ricercatore italiano ucciso al Cairo nel 2016, compare ben sei volte nella proposta di Risoluzione sul deterioramento dei diritti umani in Egitto in discussione oggi al Parlamento Ue e presentata da S&D, Renew e Verdi e GUE.Il documento, nello specifico, fa riferimento all’annuncio del 10 dicembre con cui i procuratori di Roma hanno dichiarato di «disporre di prove inequivocabili del coinvolgimento di quattro agenti delle forze di sicurezza dello Stato egiziano nel rapimento aggravato, nel ferimento aggravato e nell’omicidio» di Regeni, nonostante gli ostacoli alle indagini.
I deputati hanno chiesto «all’Ue e agli Stati membri di esortare le autorità egiziane a collaborare pienamente con le autorità giudiziarie italiane», ricordando come la ricerca della verità sul caso Regeni portata avanti dalla famiglia del ricercatore sia un «dovere imperativo delle istituzioni nazionali e dell’Ue», che dovrebbero adottare «tutte le azioni diplomatiche necessarie».
Una posizione dura quella riportata nella mozione di risoluzione, che oltre a menzionare il caso Regeni fa riferimento al più generale contesto socio-politico egiziano, evidenziandone le maggiori criticità e chiedendo all’Ue una seria presa di posizione e un cambiamento nei rapporti con Il Cairo. I deputati hanno ricordato i diversi casi di arresti arbitrari, le violenze perpetrate contro i cittadini che si oppongono al presidente Abd al-Fattah al Sisi, nonché l’uso delle leggi sul terrorismo e delle incarcerazioni preventive prolungate quale arma contro i dissidenti. Il testo si sofferma anche sulle condizioni delle carceri egiziane, descritte come luoghi sovraffollati e che rappresentano un rischio per la salute dei detenuti, soprattutto a seguito dello scoppio della pandemia da Covid-19.
Il testo esamina anche un altro caso legato all’Italia, quello di Patrick Zaki. L’attivista egiziano e studente dell’Università di Bologna era arrivato in Italia grazie al programma Erasmus Mundi, pertanto la sua detenzione «durante il suo periodo di ricerca in Europa rappresenta una minaccia per i valori [europei]». A questo proposto gli eurodeputati richiedono a Bruxelles «una reazione diplomatica ferma, rapida e coordinata al suo arresto e alla sua detenzione prolungata». Nell’interesse del giovane e degli stessi valori dell’Ue.
Cosa chiede il Parlamento
Ciò che il testo della bozza chiede, quindi, è una presa di posizione seria, almeno questa volta. Dichiarazioni sulla gravità dello stato di diritto in Egitto sono state firmate dal Parlamento Ue anche negli anni precedenti, ma né le Istituzioni Ue competenti né i singoli Stati membri hanno messo realmente in discussione le relazioni con Il Cairo.
Eppure, si legge nel documento, il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali dovrebbe essere un elemento essenziale nei rapporti con la controparte egiziana. Per questo motivo i parlamentari richiedono «una profonda e completa revisione delle relazioni dell’Ue con l’Egitto» e invitano Bruxelles e i Paesi Ue «ad assumere un ruolo guida in occasione della prossima sessione del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, al fine di istituire un meccanismo di monitoraggio e segnalazione delle gravi violazioni dei diritti umani in Egitto».
Ma il punto più interessante della proposta di Risoluzione è quello relativo alle sanzioni, finora assenti nei testi votati in precedenza: il documento richiede l’implementazione di «misure restrittive mirate nei confronti di funzionari egiziani di alto livello responsabili delle violazioni più gravi nel paese» sulla base del Magnitsky Act appena approvato in sede europea. A ciò si aggiunge anche la richiesta di «sospendere le licenze per tutte le esportazioni di armi, tecnologie di sorveglianza e altre attrezzature di sicurezza verso l’Egitto» secondo quanto era già stato stabilito nelle conclusioni del Consiglio Affari esteri del 2013 (e mai implementate).
In chiusura, il testo non risparmia una stoccata contro la realpolitik, che continua a guidare la politica estera europea e dei suoi Stati membri – Italia e Francia in primis – nei confronti dell’Egitto. «La cooperazione nei settori della gestione della migrazione o della lotta al terrorismo, ma anche di considerazioni geopolitiche», si legge nella Risoluzione, «non dovrebbe andare a scapito delle continue pressioni per il rispetto dei diritti umani e la rendicontabilità per le violazioni dei diritti umani».
L’ultima mossa dell’Italia
Eppure sono proprio gli interessi commerciali e geopolitici a determinare le mosse dell’Italia, incapace di opporsi seriamente all’Egitto e di avere giustizia per la morte del suo cittadino. Il timore di Roma è che una eventuale rottura dei rapporti con Il Cairo o una limitazione delle relazioni commerciali possa lasciare maggiore spazio di manovra ad altri Stati europei in settori chiave, come per esempio quello energetico.
Non è un caso quindi che il ministro degli Esteri italiano abbia chiesto all’Ue una presa di posizione comune, né che il presidente della Camera, Roberto Fico, abbia sottolineato come Italia possa sì «attuare decisioni dure verso l’Egitto, ma se altri ci sorpassano in curva non si ottiene nulla».
La scelta di Di Maio di coinvolgere tutta l’Europa sull’Egitto mette nero su bianco tutti i limiti della politica estera italiana. Roma non è in grado di opporsi da sola al Cairo e non è disposta a mettere a repentaglio i rapporti economici con il Paese egiziano, più importanti persino della verità sulla morte del ricercatore italiano. Muoversi in concomitanza con gli Stati membri dell’Ue dovrebbe invece dare alla posizione italiana maggiore autorevolezza, ma servirebbe soprattutto a evitare che altri prendano il posto dell’Italia in Egitto. La Risoluzione potrebbe giocare a favore della posizione italiana (e a scapito di altri Paesi).