Anima e stomacoGastroculture che viaggiano

Costretti a casa possiamo fantasticare di luoghi lontani attraverso il cibo: il nuovo soul food parigino, come il Madagascar è diventato patria della vaniglia, coltivare luppolo in New Mexico. E poi la finanziarizzazione dell’acqua e le videoricette pensate per generare indignazione e disgusto

The New Soul Food of Paris – Eater, 10 dicembre

Alexander Hurst scrive di black cuisine a Parigi, raccontando come intorno al soul food, termine con cui si indica la cucina della comunità afroamericana degli Stati Uniti del sud, proprio nella capitale francese si sia sviluppato un percorso dai risvolti culturali e critici molto interessanti. Dai soldati statunitensi di colore rimasti a Parigi dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale a oggi molto è cambiato. In una città così ricca e poliedrica non sono mai mancate le insegne dedicate al soul food, pur potendosi contare sulle dita di una mano, massimo due. Ma oggi il fenomeno in atto, che vede una decisa rinascita del soul food parigino, è singolare e significativo: a fare cucina afroamericana sono perlopiù cuochi neri francesi. D’altronde Parigi a lungo ha accolto il jazz e nutrito schiere di intellettuali statunitensi di colore, e il cibo doveva seguire questi flussi, accompagnarli, evolversi. Così ha fatto, disegnando un panorama di senso che ha a che fare con temi complessi quali l’identità, la tradizione e il multiculturalismo, il tutto visto attraverso le splendide lenti del cibo. Un viaggio dal sud degli Stati Uniti ad Harlem, e quindi ai sobborghi all’ombra della Tour Eiffel, che dimostra come la tavola non sia mai soltanto l’atto di sfamarsi, e come cibo, musica, letteratura, cinema e cultura popolare siano profondamente intrecciati, in modi spesso poetici e, perché no, politici.

How Did Madagascar Become the World’s Biggest Producer of Vanilla? – Gastro Obscura, 10 dicembre

A proposito di cibi che viaggiano, in questo articolo di Dan Nosowitz si parla di vaniglia, la seconda spezia più costosa al mondo dopo lo zafferano, tra civiltà azteca, colonialismo francese e Madagascar. C’è il Messico, sua vera patria d’elezione, che ha visto frenare la produzione in seguito alla guerra civile di inizio Novecento e poi ancora con la scoperta di giacimenti petroliferi a Poza Rica nel 1932, un passaggio che ha sconvolto l’ecosistema locale e ha pregiudicato la possibilità di produrla. C’è l’impatto della scoperta della vanillina sintetica. Ma c’è anche la storia di Edmond Albius, il ragazzino schiavo che in Madagascar scoprì e introdusse la tecnica per stimolare la fecondazione nella pianta e produrre il frutto da cui poi si ottiene la vaniglia. Suona scontato aggiungere che Albius non approfittò dell’enorme scoperta, che rese possibile la produzione su larga scala di una spezia che prima era difficilissimo ottenere. Così come suona scontato sottolineare come il Madagascar sia diventato il paese della vaniglia non solo per ragioni ambientali e climatiche, ma anche perché allo sfruttamento coloniale da parte dei francesi ha fatto seguito un sistema economico e sociale fondato su salari bassissimi, anzi infimi. Ma vale la pena ricordarlo ugualmente, visto che parliamo di un mercato che muove ingenti somme di denaro, e di un prodotto che ha costi altissimi e che trova dimora in tutte le nostre case.

Beautiful Freaks – Breeding and Growing Wild Hops in New Mexico – Pellicle, 9 dicembre

Visto che ci manca il viaggio, e non poco, continuiamo a macinare chilometri, questa volta spostandoci in New Mexico: il racconto di Hollie Stephens ha come oggetto la produzione di luppolo per la birra in quello stato. Un tema che potrebbe sembrare da beer nerd, e in parte lo è, ma che in questo caso trova una declinazione particolarmente piacevole e alcuni spunti notevoli, tra cui quello sul rapporto tra coltivazione del luppolo e terroir.

Acqua quotata in borsa: il tardo capitalismo abbatte l’ultimo tabù – Dissapore, 10 dicembre

Spoiler: l’articolo di Dario De Marco si chiude con la domanda «ci stiamo affidando a due delle maggiori certezze dei nostri tempi: il riscaldamento globale e la speculazione finanziaria. Cosa potrà mai andare storto?». E in fondo qui c’è il fulcro della riflessione sviluppata nelle righe precedenti (è la conclusione, diamine), che commenta la seguente notizia: «da lunedì scorso, notizia ampiamente preannunciata nei mesi passati, è possibile scambiare un future legato alle variazioni di prezzo sull’acqua in California. Lo strumento finanziario è stato creato dal CME group in collaborazione con il Nasdaq». Ora, effettivamente le conseguenze devastanti della trasformazione del cibo (e per estensione dell’acqua) in commodity sono sotto gli occhi di tutti, o quasi. Le conseguenze devastanti della finanziarizzazione estrema dell’economia idem. Per non parlare delle conseguenze devastanti del cambiamento climatico, un processo in cui l’acqua ha un ruolo non solo importante, ma addirittura centrale. Chiediamoci dunque perché si dovrebbe gioire di questa notizia, e rispondiamo nell’unico modo possibile, difendendo con i denti l’idea dell’acqua come bene comune, come l’articolo invita saggiamente a fare.

Watch This Disgusting Food Video Right Now. It Explains Everything – The New York Times Magazine, 10 dicembre

Ci sono siti internet che sulle videoricette hanno costruito una vera e propria fortuna. Tra questi il francese Chefclub, che come sottolinea Rosa Lyster ha un approccio divisivo, provocatorio, smaccatamente alla ricerca della provocazione. Attraverso ricette a volte assurde, che non necessariamente devono funzionare o essere replicate. È la ricettistica nell’epoca della comunicazione strillata, scandalistica, che stimola il disgusto altrui come grimaldello per ottenere click.

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