«Sapete benissimo che le nostre Risorse Umane erano molto bene al corrente di questi tentativi di violare la proprietà intellettuale di terze parti, perché il 19 marzo 2019 scrissi già a mr E. M. (e in copia al mio manager diretto e anche a mr Y.) che mr H. Y. aveva minacciato di “rispedirmi da mamma” (ossia licenziarmi) perché rifiutavo di fare reverse engineering (spiare e copiare, ndr) sull’orchestrator di Cisco, Cisco Nso. Ma le Risorse Umane e il direttore del laboratorio decisero una volta di più di ignorare la mia denuncia, e di continuare nei loro illeciti, e di penalizzarmi a causa della mia onestà e integrità».
Queste sono le parole contenute in una email, riportata oggi da un’inchiesta Stampa e spedita da ingegneri e fisici del German Research Center di Huawei ai dirigenti del centro di ricerca del colosso cinese a Monaco di Baviera. Nella mail, spiega La Stampa, si sostiene che i top manager di Huawei abbiano chiesto nei mesi scorsi a ingegneri del centro di spiare e copiare il pezzo centrale di Cisco, l’orchestrator dei network Cisco Nso, ossia il cervello delle moderne reti Sdn, che consente di gestire in maniera centralizzata e automatica i prodotti di diverse aziende. Un prodotto strategico anche per il dispiegamento dei servizi 5G.
In sostanza, come sembrerebbe da altre mail viste da La Stampa, almeno uno dei top manager cinesi avrebbe chiesto agli ingegneri di Huawei di fare reverse engineering proprio di questa parte del prodotto Cisco.
Dopo due mesi di lavoro e di interviste con La Stampa, uno dei whistleblower ha deciso di rivelare anche la sua identità: si chiama Daniele Di Salvo, è un fisico italiano nato a Ivrea con un lungo curriculum, trent’anni in aziende del settore informatico e delle telecomunicazioni, sia in Italia sia all’estero, Europa, Nord e Sud America.
Da dicembre 2016 Di Salvo è uno degli ingegneri di Huawei con il ruolo di Senior Ip Test Design engineer, e come tale fa parte di alcune chat interne all’azienda, di cui La Stampa riporta messaggi come questo: «Sono felice che tu l’abbia respinto, quando mr H. Y. voleva che noi facessimo del reverse engineering su Cisco Nso».
Le richieste sono datate marzo e aprile 2019. I whistleblower sostengono che il German Research center fosse stato allertato, ma poco o nulla avrebbe fatto.
La Stampa ha contattato i vertici del Huawei Center a Monaco di Baviera, che spiegano: «Huawei si impegna a rispettare completamente i diritti di proprietà intellettuale delle terze parti. La nostra azienda ha implementato un sistema di conformità (compliance) avanzato, che previene qualsiasi potenziale comportamento scorretto da parte di dipendenti o dei partner. Huawei ha tolleranza zero per qualsiasi azione illegale dei dipendenti che possa danneggiare i diritti di proprietà intellettuale di terze parti, e non esita a far rispettare tutte le misure legali più appropriate di conseguenza».
In sostanza, spiega La Stampa, l’azienda non smentisce l’esistenza di queste accuse, anche se non conferma la loro aderenza ai fatti. Huawei fa sapere di avere una specie di blind trust, un collegio di revisori esterni, che si occupa di eventuali illeciti: «Non siamo in grado – rispondono i vertici di Huawei sul punto chiave – di fornire alcuna informazione su tali presunte circostanze. Non siamo in grado nemmeno di confermare se si sono realmente verificate e se i dipendenti le hanno segnalate ai nostri canali di segnalazione (whistleblowing). Tutte queste segnalazioni sono infatti trattate con la massima cura e riservatezza, mentre un ristretto collegio di revisori esterni all’azienda è autorizzato a venirne a conoscenza».