«Noi ci atteniamo alle tempistiche di Bruxelles, il ritardo del nostro piano è un ritornello da giorni. Il vero ritardo l’ha causato il veto di Polonia e Ungheria che oggi (ier, ndr) è caduto», dice il ministro degli Affari europei Enzo Amendola in un’intervista al Sole 24 Ore. «Alcuni pensano che questo piano sia una legge di bilancio o la panacea di tutti i mali, invece segue le linee indicate dall’accordo del 21 luglio dove si decise tutti e 27 di investire nella transizione ecologica e digitale».
Il ministro a capo della cabina di regia del Ciae che finora ha vagliato le centinaia di progetti arrivati dai ministeri commenta così le polemiche degli ultimi giorni sul Recovery Plan, dalla governance alle priorità, inquadrandole nella cornice europea. «In questi giorni ho sentito molte inesattezze», dice. «La commissione ha chiesto nelle sue linee guida del 17 settembre, quindi non solo all’Italia, che gli Stati membri individuino un soggetto che svolga il ruolo di coordinatore del Pnrr. Una unità di missione responsabile dell’attuazione in sinergia con i ministeri coinvolti che assicuri il monitoraggio e il reporting a Bruxelles. La Commissione sottolinea che questa struttura tecnica dovrà avere capacità amministrative, autorità e risorse umane adeguate». Del resto, aggiunge il ministro, «anche a livello europeo si è creata una task force apposita che lavora insieme ai commissari per rendere operativo questo percorso di investimenti comuni».
Ma sui poteri sostitutivi, contestati da Italia Viva ma anche dal Pd, Amendola specifica che «la Ue rimanda agli Stati le definizioni dei poteri delle task force. Per ora c’è un lavoro tra i tecnici dei ministeri per delineare i contorni di una norma che invieremo al Parlamento. Non c’è nessun segreto di Stato o tentativi di golpe, come sento dire. La verità è che i fondi vanno impegnati al 2023 e spesi al 2026, pena la perdita secca se i progetti non si realizzassero».
Sulla proposta di Conte, con la cabina di regia politica a tre, i sei manager e la task force di tecnici, però Amendola mette le mani avanti: «La proposta verrà discussa in cdm e poi in Parlamento. Tutti potranno proporre soluzioni migliorative, consapevoli però del cronoprogramma». Insomma, c’è fretta. E gli esempi da seguire sono l’Expo di Milano o il nuovo ponte di Genova.
La stessa proposta verrà inviata a Comuni e Regioni, e anche alle parti sociali. «L’aggiornamento del piano si concluderà solo in vista della proposta finale, quando sarà finalizzato il Regolamento europeo. Presumo a febbraio», dice Amendola.
Ma non c’è stato nessun lavoro segreto, sottolinea il ministro, contestando le critiche di Renzi: ci sono stati – dice – «19 comitati operativi e bilaterali settimanali» e «non sono mancati incontri con la cabina di regia di Regioni e Anci e incontri interlocutori con gli attori sociali».
Ma, assicura, «la proposta che invieremo al Parlamento non è un documento chiuso. Il dialogo con Confindustria e sindacati in primis sarà decisivo anche per calibrare o cambiare le 52 linee di intervento».