Buona la quarta?Israele torna al voto e dimostra all’Italia come si comporta un Paese democratico

Dopo otto mesi di coabitazione, il premier Netanyahu e il suo rivale Gantz non sono riusciti a trovare un accordo e hanno sciolto il Parlamento. Una scelta che nonostante la pandemia rispetta i principi di uno Stato civile, governato da politici che si assumono le proprie responsabilità e non cercano scuse per non andare alle urne

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Si prenda nota: si può benissimo andare al voto anticipato anche nel pieno della seconda ondata della pandemia di Covid 19 e mentre si prospetta un terzo lockdown. Non solo, si può anche far saltare la sessione di bilancio per aprire una crisi di governo e andare senza problemi verso l’esercizio provvisorio. Infine, Conte sia avvertito, tutto questo può avvenire perché una componente del Likud, partito perno della maggioranza, decide essenzialmente che è il momento di detronizzare il premier fondando un nuovo partito ad hoc. Questo è quanto accade nella Knesseth di Israele nella quale, durante una seduta drammatica di martedì, si è sfilato Michel Shir, parlamentare del Likud di Benjamin Netanyahu che ha votato contro la proposta della sua maggioranza di far slittare l’approvazione della legge di bilancio al 5 gennaio. Da qui la crisi, non inaspettata.

Tutto questo, lo ricordino i nostri leader che temono il voto come il diavolo l’acqua santa, in un Paese minacciato da 100.000 missili a corto raggio nelle mani di Hezbollah e nel quale è normale sempre dei missili a grappolo vengano lanciati da Gaza sull’aeroporto di Tel Aviv. Ma non basta, il prossimo voto israeliano, che si terrà probabilmente il 23 marzo, sarà il quarto nell’arco di due anni. Perché in un Paese normale, invece di trovare scuse per non votare, se le urne non danno una maggioranza di governo, si torna al voto. È successo anche in Belgio e nei Paesi Bassi.

Quanto allo specifico della crisi israeliana è da notare che la situazione della maggioranza è precipitata perché l’ex ministro del Likud Gideon Sa’ar ha fondato un partito, uscito dal Likud stesso, che ha lo scopo precipuo di far crollare la leadership di Bibi Netanyahu (ricorda qualcosa in Italia?). Partito che è premiato al secondo posto nei sondaggi. Grande sconfitto da questa crisi, oltre a Netanyahu che nel prossimo turno elettorale rischia seriamente la premiership, è il vice premier Benny Ganz, che avrebbe dovuto sostituire Netanyahu come premier alla fine del 2021. Ganz paga (di nuovo risuonano vaghi echi italiani) la sua totale subordinazione al Likud e la sua totale incapacità di dettare l’agenda politica.

Urne aperte quindi, con un risultato ancora più aperto. Da parte sua, Netanyahu potrà certo far valere il successo ottenuto con la firma dell’Accordo di Abramo, che ha aperto a Israele immensi mercati finanziari e di investimento nel Golfo. Ma l’elettorato israeliano non vota ormai da decenni su opzioni di politica estera e tanto meno sullo sbocco da dare alla questione palestinese. Le motivazioni del voto in Israele sono essenzialmente di politica interna e di politica economica e su questo la pandemia ha inciso non poco in chiaroscuro. Se infatti il rating di Israele è A+ (Fitch) e lo Shekel continua ad apprezzarsi su dollaro ed euro, grande è stato l’impatto della pandemia sulla disoccupazione, che è balzata al 20%.

Per di più, Netanyahu ha perso la sua sponda privilegiata con Donald Trump e sa bene che Joe Biden e la sua amministrazione preferiscono un cambio di leadership a Gerusalemme. Sua unica forza, al solito, è la debolezza di premiership del suo avversario Benny Ganz. Si vedrà se gli sarà sufficiente per un’ennesima, improbabile, riconferma.