La riduzione progressiva di posti – fissati in genere al 50 per cento del normale – e l’assunzione delle dovute misure sanitarie ha cambiato sensibilmente il modo di lavorare. Il Covid ha obbligato gli operatori ad adattarsi alla situazione progressivamente, quasi ogni giorno. A volte in modo tanto repentino da mettere in crisi la loro attività. Molti si sono arresi di fronte all’incertezza e hanno chiuso o rinviato “sine die” la ripresa del lavoro. Altri continuano, ma hanno dovuto riaprire con un numero ridotto di dipendenti e una perdita significativa di clienti, in conseguenza della normativa adottata all’apparizione del virus. Sono assolutamente sconsigliate le tapas presentate in un solo piatto da condividere, così come sono da evitare i pintxos se non sono coperti. Inoltre non si permettono tavolate di più di 10 persone, ma ci sono anche enti locali che hanno fissato il tetto massimo a 6 commensali.
La gente non esce volentieri a pranzo o a cena se non ha la sicurezza di poterlo fare con tutte le garanzie sanitarie. Così stanno le cose: i locali che hanno saputo adattarsi ai tempi e trasmettere fiducia nel loro lavoro continuano, contando sul favore della clientela. Mentre il “menù del giorno” perde chiaramente colpi di fronte al diffondersi del telelavoro, l’alta cucina vive sorprendentemente un anno di grandi soddisfazioni date le circostanze. Gli appassionati hanno inseguito le sue tavole in questa estate basata sul turismo nazionale. I locali “fuori porta” si sono presentati come utile via di fuga di fronte all’ansia generata dalle grandi città. I ristoranti che hanno sempre lavorato bene dispongono ora di maggiori possibilità rispetto a quelli che prima dell’avvento del virus erano soliti lavorare per i turisti stranieri. Di fronte all’assenza di “guiri” (espressione ironica per indicare i turisti del nord, ndr) la ristorazione ha comunque saputo reinventarsi con successo, cercando nuove formule di degustazione con prezzi contenuti. La gente vuole continuare ad apprezzare la buona tavola a un prezzo sopportabile, sia nella normalità della tradizione sia nella ricerca di avanguardia. Così succede ad esempio a Girona, dove i fratelli Roca mantengono il Mas Marroch per i loro “greatest hit” e il Celler de Can Roca per dare briglia sciolta alla creatività culinaria. Quest’ultimo comunque ha dovuto chiudere per qualche giorno dopo aver scoperto alcuni positivi asintomatici fra i suoi numerosi dipendenti. Stessa sorte per DiverXo a Madrid, dove i controlli di routine hanno evidenziato alcuni casi positivi: lo chef Dabiz Muñoz ha annunciato un periodo di chiusura per assicurare la sicurezza dello staff e dei clienti.
In conclusione, fa male rilevare come l’incremento della diffusione del virus su tutto il territorio finisca per punire senza pietà un settore che è stato colpevolizzato in maniera ingiusta e addirittura sproporzionata dalla classe politica.
Belén Parra, giornalista gastronomica, da 20 anni scrive sul quotidiano El Mundo ed è cofondatrice del blog Gastronomistas