Streghe, fuoco e acquaviteLa queimada galiziana, una coppa per allontanare i demoni

Viene dalla Spagna questo rituale per scacciare la malasorte, la cattiveria e il dolore. Per compierlo basta della buona acquavite, una ciotola di terraglia, qualche aroma e… uno stregone. E se lo scongiuro non dovesse funzionare, avremo comunque gustato un’ottima bevanda, calda e profumata

Mouchos, coruxas, sapos e bruxas

Il suono delle gaitas, le cornamuse galleghe, accompagna l’ultimo sole dell’anno mentre si immerge nell’Oceano. Sotto al cruceiro, il calvario di pietra, le onde si infrangono. Cala la notte. È ora che arrivi il Brujo, lo stregone che preparerà la queimada. La Galizia è una terra senza mezze misure: il suo incontro con il mare segna il confine del mondo, la sua storia attraversa i millenni per arrivare a tempi remoti. Qui le leggende sono ancora vive, gli spiriti della natura che ispirarono i culti pagani sono presenti nel vento e nella pioggia, e i riti magici uniscono gli uomini al soprannaturale. Così una pozione preparata con acquavite e aromi, incendiata perché sprigioni una fiamma azzurrognola, può raccogliere la forza del fuoco per allontanare gli spiriti cattivi. La queimada si può preparare in qualsiasi momento dell’anno, ma ci sono notti in cui la magia del brujo è più forte: il solstizio d’estate, Samaìn, l’Halloween galiziano, e la nochevieja, l’ultima notte dell’anno. In Galizia è ancora molto frequente l’usanza di preparare la queimada. Per realizzarla ci vogliono un recipiente di coccio, zucchero, limone e chicchi di caffè, e una buona aguardiente de orujo, l’acquavite di vinacce spagnola, forte e secca. E ovviamente uno stregone che la prepari e reciti le formule rituali.

Terra, acqua e fuoco

Le origini di questo rito sono sconosciute. Alcuni ritengono che la queimada sia un’usanza medievale. Altri guardano più indietro, alle radici celtiche della Galizia. Furono i Celti a tracciare i petroglifi che si possono vedere in queste terre, e che raffigurano simboli magici, come la spirale o la triscele, le tre spirali unite, ciascuna associata a un elemento. Terra, acqua e fuoco: e la queimada li raccoglie tutti e tre. La terra, nel coccio di cui sono fatti il contenitore per prepararla e le tazze per berla; l’acqua, in quell’acquavite che ne è la base; il fuoco, nelle fiamme che si sprigionano quando la queimada viene bruciata. Lo stesso nome della preparazione deriva dal verbo quemar, “bruciare”. E l’unione dei tre elementi fortifica il corpo e purifica l’anima. Sono le forze che il brujo invoca nello scongiuro, più potenti di quelle dell’uomo, capaci di mandare via le streghe e di far tornare per un attimo tra noi gli amici scomparsi, il tempo di condividere la queimada.

Mouchos, coruxas, sapos e bruxas…

Lo stregone è pronto, la cerimonia può iniziare. E speriamo che la queimada allontani tutti i demoni che hanno funestato questo 2020.

La ricetta

La queimada va fatta al buio. In un recipiente di coccio si versa un litro di orujo (o di grappa secca, per una versione nostrana) e la si mescola con 6 cucchiai di zucchero, quindi si unisce la scorza di un limone e, se piace, di un’arancia, a pezzi, oltre a una manciata di grani di caffè. Si raccoglie un po’ di acquavite in un mestolo di metallo dal manico lungo, si unisce ancora un cucchiaio di zucchero e si dà fuoco al contenuto del mestolo con un fiammifero. Con grande attenzione si avvicina il mestolo al recipiente e si fa scendere il liquido infiammato, in modo che tutto il contenuto si incendi. A questo punto le fiamme sono vive, si continua a mescolare la queimada con il mestolo e si pronuncia il conjuro, lo scongiuro. Si spegne poi la fiamma, incoperchiando la queimada. Quando, è questione di gusti: più brucia, meno sarà alcolica. La queimada va servita calda, meglio se nelle tipiche tazzine di terraglia.

Lo scongiuro

Mouchos, coruxas, sapos e bruxas…

Con queste parole inizia, in gallego, la formula da pronunciare durante la preparazione. Una lunga invocazione, che chiama a raccolta le forze della natura. Lo stregone italiano potrà tradurre più o meno così il conjuro:

«Gufi, civette, rospi e streghe, demoni, folletti e diavoli, spiriti dei prati coperti di nebbia. Corvi, salamandre e fattucchiere; coda dritta di gatto nero e tutti gli incantesimi delle guaritrici.

Tronchi decomposti e scavati, casa di vermi e parassiti. Fuoco di una processione di anime, malocchio e magia nera, odore di morti, tuoni e fulmini. Muso di satiro e zampa di coniglio, latrare di volpe e ululato di cane presago di morte.

Lingua peccatrice di donna cattiva sposata con un uomo vecchio. Inferno di Satana e Belzebù, fuoco di cadaveri che bruciano, fuochi fatui della notte di San Silvestro, corpi mutilati dei miserabili, peti di culi infernali.

Ruggito del mare in tempesta, presagio di naufragi. Grembo sterile di donna sola, miagolii dei gatti in calore, pelo sporco e cattivo di capra malvagia e corni ritorti di caprone.

Con questo mestolo solleverò le fiamme di questo fuoco, che assomigliano a quelle dell’inferno, e le streghe saranno purificate dalle loro malvagità. Fuggiranno a cavallo delle loro scope e andranno a immergersi nel mare di Finisterre.

Udite, udite questi ruggiti! Sono le streghe che si stanno purificando in queste fiamme degli spiriti. E quando questa bevanda divina scenderà nelle nostre gole, anche tutti noi saremo liberi dai mali della nostra anima e da ogni malasorte.

Forze dell’aria, del mare, della terra e del fuoco, a voi faccio appello e vi chiamo a raccolta: se è vero che avete più potere di noi umani, mondate dalla malvagità questa terra e fate sì che qui e adesso gli spiriti degli amici che non sono più possano condividere con noi questa queimada».

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