Appaiono all’improvviso in mezzo alla baia di Oslo, accompagnati da scariche elettriche. Vengono dal passato, alcuni dalla preistoria, altri dall’era vichinga, altri ancora dall’XIX secolo (i cosiddetti “Bohemien”).
Sono i “Beforeigners”, stranieri del tempo (la parola è ottenuta con la crasi tra “Before” e “Foreigners”), titolo della serie fantascientifica e crime prodotta da Hbo e uscita su RaiPlay il 20 gennaio, e realizzata nel 2019 in Norvegia.
Una volta approdati nel presente, alcuni si integrano nella società attuale, trovano lavoro e fanno famiglia. Altri stentano e vivono, secondo le loro abitudini, ai margini della società, nei boschi e nelle periferie. Spesso la convivenza è difficile, molti non parlano la lingua (ma solo il norreno) e non riescono ad ambientarsi. Ma c’è chi li aiuta e chi, addirittura, li prende come modello da emulare. Ma anche chi non li vuole e chiede che la Norvegia sia solo dei «contemporanei».
Insomma, la metafora è cristallina. Basta sostituire lo spazio al tempo e si vede subito che la serie parla di migranti. Del resto, ci sono i centri di accoglienza temporanea, gli specialisti con «background multitemporale» (per dire multiculturale), testate giornalistiche guidate e dedicate ai «discronici». Ci sono quelli che sfruttano la prostituzione delle donne di altre epoche e una fitta serie di conti da regolare dal passato.
Ma la soluzione, a suo modo creativa, di scambiare le dimensioni (tempo con spazio) permette di tenere la serie alla larga dai classici scivoloni retorici che incrostano argomenti del genere e di regalare un po’ di ironia (ci si ubriaca di idromele e si sentono battute come «Ci vai tu a lavorare con quell’homo habilis?», dove «homo habilis» non è un modo di dire).
In tutto questo, si snoda una trama poliziesca. A Lars Haaland, agente di polizia in congedo interpretato dal norvegese Nicolai Cleve Broch, viene chiesto di indagare sul caso di una «migrante del tempo» trovata morta sulla spiaggia.
Nonostante le apparenze facciano pensare a un annegamento, fatto comune per i migranti temporali che sbucano dal mare, la realtà è diversa: la donna è stata uccisa. Ad aiutarlo c’è una giovane recluta, Alfhildr Enginnsdottir (la finlandese Krista Kosonen, già vista in “Blade Runner 2049”), proveniente dal passato, per la precisione dai primi anni Mille, che all’inizio viene bullizzata dai colleghi per la sua inesperienza.
I due colleghi scopriranno, in poco tempo, che l’omicidio è collegato a un giro di prostituzione che coinvolge ragazze «discroniche» pescate in acqua al loro arrivo. Ma le ramificazioni della storia andranno a coinvolgere la vita privata (e disastrata) dell’agente Haaland, compresa sua figlia ribelle e la moglie che lo ha lasciato per mettersi con un letterato dell’800. Ma si vedrà anche quella di Alfhildr, attraverso una serie di flashback riferiti all’anno Mille che dimostreranno che la donna ha un passato (nel vero senso della parola) da nascondere. In questo senso, la battuta migliore su di lei è: «Meglio non mettere in mano a una vichinga una pistola».
A ideare questa Oslo surreale, con automobili e carrozze, abiti dell’800 e antichi re che fanno i rider con lo smartphone (anche questo, un classico della anti-retorica sui migranti) sono state Eilif Skodvin e Anne Bjørnstad, già autrici nel 2012 di “Lilyhammer”, sulla mafia scandinava. “Beforeigners” è un tentativo più ambizioso, in cui si combinano generi, temi e stilemi vari.
C’è il motivo dei revenant che tornano dal mare, in più associato al viaggio nel tempo, alla discriminazione del diverso (ispirata, dicono, a «District 9»), fino al classico personaggio del poliziotto problematico.
A giocare con il tempo, insomma, si possono rivedere da un’altra prospettiva i classici stereotipi sull’immigrazione e sulla diversità di culture. Gli esiti possono essere illuminanti. Ma a volte, ed è inevitabile, anche un po’ imbarazzanti (come il caso del personaggio, irritato per essere stato discriminato «per le sue origini», che parla di «razzismo temporale»).