Ai tempi del liceo, a Torino, c’era il fratello di un mio compagno che aveva la fissa delle svedesi. Quando vedeva una bionda per strada, tentava subito di abbordarla in un inglese approssimativo, convintissimo che venisse dalla Scandinavia. E quella lo mandava puntualmente affanculo con spiccato accento piemontese. Eravamo alla vigilia del Sessantotto, gli albori della rivoluzione sessuale, e vista dall’Italia clericale e oscurantista la Svezia sembrava il paradiso dell’amore libero, la terra delle ragazze che ballavano la mazurka a letto (come nel film cult di John Hilbard).
Per i giovani di sinistra era anche la patria del Welfare State e dei diritti sociali, dove il cittadino era protetto «dalla culla alla tomba», mentre i vecchi liberali puntavano il dito sul record di suicidi (e di tasse). E i radical chic giravano in Volvo perché al contrario della Fiat, l’industria svedese aveva abolito le catene di montaggio e gli operai erano felici.
Nel bene e nel male, la Svezia è sempre stata un mito. L’approdo dorato di ogni scrittore, di ogni scienziato aspirante al Nobel, ma anche il teatro di torbidi complotti per negarlo al candidato più popolare e darlo invece a qualche illustre sconosciuto. Ricordo che per anni, all’approssimarsi dell’autunno, un professore italiano di stanza a Stoccolma mi tempestava di telefonate per caldeggiare il premio a Mario Luzi, accusando l’Accademia di boicottare per oscure ragioni il nostro poeta, e poi regolarmente usciva uno scrittore sudafricano: il che non faceva che confermare le sue teorie cospiratorie. Poi è arrivato Millennium di Stieg Larsson a far nascere un altro mito: quello del giallo nordico.
Nel 2020 la Svezia è diventata il mito dei sovranisti che si oppongono alle misure anti-pandemia. Un’oasi felice, che non conosce lockdown né coprifuoco, dove le bionde continuano a ballare la mazurka senza mascherina.
Venerdì scorso, nelle ore in cui si accavallano le indiscrezioni sull’ennesimo Dpcm, l’ideologo dei no-euro, il leghista Claudio Borghi, ha scritto questo tweet: «Fossi io premier? Anziani protetti, giovani senza restrizioni, raccomandazioni di comportamento ma nessun obbligo. Un po’ come in Svezia».
E subito l’orda dei bandierini si è scatenata, postando video di gente accalcata in un locale: «Vedete? Questa è una discoteca di Göteborg. Lì non limitano la libertà dei cittadini!». Che poi magari era una serata al Billionaire in piena «dittatura sanitaria».
Macché, il Covidiota non è sfiorato dal dubbio: «In Svezia nonostante l’aumento dei casi non muore più nessuno. Che strano eh? Si chiama immunità di gregge». E un altro: «È forse l’unica nazione che non ha seguito le linee guida dell’Ue contro il Covid. Risultato? Pochi casi, pochi decessi. E stampa ancora la propria moneta!».
Il corona svedese, insomma, è meno contagioso grazie alla corona svedese. Di euro si muore. Invece i Covichinghi fanno miracoli. Nessun divieto, nessun obbligo. La loro non è una pandemia, è una PandIkea: ti mandano a casa il kit fai-da-te per difenderti dal virus. E tutto funziona alla grande. Ma i nostri tg non lo dicono!
Nel magico mondo di Borghi e soci sembra quasi che abitare a Bergamo o a Codogno, nella Padania inquinata dai Tir e dal cemento, sia la stessa identica cosa che vivere in mezzo alla tundra con le renne di Babbo Natale.
Peccato che la Svezia abbia la stessa popolazione della Lombardia disseminata in un territorio molto più grande dell’Italia, che Stoccolma, la capitale, conti meno di un milione di anime, e nessun’altra città, a parte Göteborg, superi il mezzo milione. Peccato che gli svedesi abbiano fiducia nelle istituzioni e osservino spontaneamente le regole (non ditelo ai leghisti, ma pagano pure più tasse degli italiani).
Peccato che, al di là dei proclami dell’epidemiologo di Stato Anders Tegnell, la tanto decantata “immunità di gregge” rimanga un traguardo lontano (appena il 20% ha sviluppato gli anticorpi), e che la mortalità si mantenga tra le più elevate d’Europa: 57,4 su centomila abitanti dall’inizio della pandemia (l’Italia è a quota 59), contro il 10,9 della Danimarca e il 5 della Norvegia, e da maggio in poi non sia calata come nel resto del mondo, Italia inclusa (solo gli Stati Uniti di Trump hanno un livello più alto).
E peccato che anche l’economia, in nome della quale era stata scelta la strategia “morbida” contro il virus, non stia andando come sperato: nel secondo trimestre il Pil è crollato dell’8,6%, mentre la Finlandia, che ha fatto il lockdown, ha perso solo il 3,2 e la Danimarca il 7,4. E di fronte all’escalation dei contagi il governo di Stoccolma ha annunciato un giro di vite per ristoranti e night club dal primo novembre. «La festa è finita», ha detto il premier Stefan Lofven.
Se è finita per loro, figurarsi per noi. La tragedia italiana è che a fronte di un governo mediocre e pasticcione che con i suoi errori ci condanna a nuove clausure, non abbiamo un’opposizione degna di questo nome (con l’eccezione di Carlo Calenda ed Emma Bonino, che fanno quello che possono). Qui il dibattito politico è immiserito nella disputa pro o contro la movida, tra chi criminalizza i giovani e chi esalta il diritto costituzionale allo spritz. E l’opposizione a trazione leghista soffre della sindrome di Stoccolma.
Invece di incalzare il governo sulle misure da prendere e che non ha preso nei mesi scorsi – tracciamenti, medicina del territorio, strutture per la quarantena, trasporti pubblici, assunzione di personale ospedaliero, ricorso all’aborrito Mes – si accoda ai vaneggiamenti di Enrico Montesano e del Generale Pappalardo, insegue il voto di baristi e ristoratori e liscia il pelo alla «gente per bene esasperata» che tira le bombe carta alla polizia. E intanto sogna la Scandinavia senza euro e senza lockdown. La penisola che non c’è.