Il calcio è lo spettacolo sportivo più amato e seguito del mondo. Solamente il basket può competere con la sua popolarità.
Il calcio non è lo spettacolo sportivo più ricco del mondo. Basket e football americano hanno numeri migliori poiché sono in grado di sfruttare maggiormente il proprio potenziale.
Quindi il problema sono i soldi, giusto? Sbagliato.
La piramide del calcio è strutturata in molti livelli che vanno dall’iper-professionismo delle competizioni europee e dei campionati nazionali delle Big 5 (Inghilterra, Germania, Spagna, Francia e Italia) ai campionati dilettantistici di qualsiasi Paese, da Panama alla Lituania, dalla Nigeria alla Mongolia. Il calcio è un unicum, governato dalle stesse norme e alimentato da vasi comunicanti tra i diversi livelli attraverso il meccanismo promozioni/retrocessioni. Chiunque fondi un club può un giorno arrivare ai vertici. Keep the dream alive.
La pandemia di Covid-19, la cui morsa non accenna a diminuire, ha invece mandato in frantumi questo sogno. Il calcio di base si è fermato, i campi sono chiusi e molti di essi non riapriranno perché le loro risorse sono prosciugate per sempre. La facilità di accesso del calcio, quello che ha portato tutti noi ad amare questo gioco è messa a repentaglio dalle norme di distanziamento e da un desiderio di emulazione diminuito dall’immagine di stadi vuoti, quindi tristi.
Il Covid ha cambiato tutto e, come scrisse quasi vent’anni fa Warren Buffet, «After all, you only find out who is swimming naked when the tide goes out» e il calcio ha nascosto sotto la marea molti difetti strutturali della sua piramide monolitica.
La piramide del calcio, in più di un secolo e mezzo di storia, ha subito alcune restaurazioni rilevanti, ma sempre nel quadro di una popolarità e di una crescita economica costanti, quasi sempre in doppia cifra percentuale.
Oggi il Covid non ha solamente innescato un quadro recessivo imponente (solo per il calcio europeo si parla di ricavi mancati di circa 6,5 miliardi di euro nel biennio ’19-’21), ma ha generato una crepa profonda nel monolite. Una crepa nella quale la base della piramide ha dovuto bloccarsi repentinamente. I dilettanti non giocano quasi più, i giovani non si avvicinano allo sport e i consumatori devono selezionare necessariamente molto più di prima. Nel frattempo, si affaccia definitivamente la nuova generazione Z, che ha valori, oltre che interessi, molto diversi da chi l’ha preceduta: il calcio del futuro deve pensare a questi giovani.
Lo spettacolo calcistico ha tutto per continuare a prosperare e a essere il migliore del mondo. Ci sono i protagonisti, ci sono gli investitori e ci sono gli appassionati. Queste tre componenti sono le fondamenta sulle quali ricostruire. In fin dei conti non sarebbe una rivoluzione, sarebbe un ritorno alle origini. Le Federazioni, le Leghe, la stessa Fifa e la Uefa nacquero basandosi su queste domande essenziali: chi gioca? Chi paga, cioè chi si assume il rischio? Chi è interessato, chi guarda?
Nei decenni la complessità del movimento ha progressivamente messo in secondo piano queste domande, che oggi devono essere riproposte con forza per ripartire di slancio. Intendiamoci, nessuno mette in discussione la necessità di avere parti terze indipendenti che sappiano dettare le regole e imporre la loro applicazione.
Oggi tuttavia non è così. Fifa e confederazioni, la più importante delle quali è quella europea, la Uefa, sono regolatori, organizzatori, broker e distributori del prodotto principale, sia esso il Campionato del Mondo o la Champions League. Lo schema degli ultimi decenni ha alimentato un’asimmetria che il Covid ha messo drasticamente in discussione: i calciatori sono protagonisti, ma non hanno quasi nessun potere decisionale rispetto a impegni e calendari. Gli imprenditori o gli investitori si assumono il rischio, ma non possono determinare formati e regole d’accesso e incassano proventi tramite l’intermediazione di autorità terze. Gli organizzatori/regolatori non sono né protagonisti né imprenditori, ma gestiscono, incassano e determinano. Quando la crescita è costante, i problemi si nascondono, quando la disruption arriva, il cambiamento è inesorabile.
Riforma delle competizioni europee, Superlega, nuovi campionati nazionali, progetti più o meno segreti: in questi mesi i media internazionali hanno raccontato una realtà in rapido movimento. Tutte queste ipotesi, siano esse credibili o meno, si basano sull’assunto dal quale il dibattito deve partire. Cosa sarà il calcio nel 2040? Calciatori, imprenditori e consumatori sono centrali in questa riflessione.
Il processo di polarizzazione proseguirà inarrestabile. Saranno pochissimi i calciatori a poter essere ammessi al tier 1 del gioco e a loro, in virtù del successo commerciale dello spettacolo, sarà necessario continuare a garantire risorse adeguate, magari in uno schema lavoratore-datore di lavoro interamente rinnovato. Club e Fifpro hanno rappresentanze e professionalità adeguate per discuterne fin da subito. Anche il numero di club che daranno vita al vertice dello spettacolo calcistico dovrà essere ridiscusso, non per assecondare i desideri di un avido gruppo di imprenditori bensì perché l’offerta di calcio sia adeguata alla domanda e garantisca qualità.
Infine, il pubblico: il grande carburante dello show. Nuovi modelli di distribuzione, nuove piattaforme tecnologiche, generazione Z. Spesso si confonde la sostenibilità con l’economicità.
Il calcio del futuro ha il dovere di coltivare la protezione degli investimenti, i livelli di remunerazione e la distribuzione adeguata dei proventi. Il panorama recessivo colpisce oggi principalmente i club, ma soprattutto la mutualità, la solidarietà tra i vari livelli della piramide.
Se calciatori, investitori e pubblico sapranno, attraverso il dialogo con le istituzioni, dare vita a uno spettacolo che esprima tutto il potenziale, il calcio non sarà solamente il più amato tra gli sport, ma lo sarà per distacco rispetto a qualsiasi altro sport in qualsiasi kpi.
E le risorse potranno essere messe a disposizione di fifa, confederazioni, federazioni e leghe per finanziare il calcio, maschile e femminile, di base, sia esso quello dei dilettanti o quello delle giovani generazioni, che domani potranno sognare di arrivare al vertice. Anche così si mantiene vivo il sogno, anzi si rende sostenibile la realtà.
(Articolo tratta dalla rivista Linkiesta Forecast, il magazine con il New York Times che si trova nelle edicole di Milano e di Roma, oppure qui per riceverlo a casa)