Nel 2020 siamo diventati un popolo di panificatori. Per un po’. Ci siamo divertiti a mettere le mani nella farina, indossare grembiuli colorati che erano rimasti per anni sepolti tra tovaglie e strofinacci, ci siamo misurati con l’impervia magia della lievitazione e abbiamo assaggiato con entusiasmo i nostri esperimenti culinari. È durato il tempo di un lockdown, poi la maggior parte dei consumatori è tornata a rivolgersi agli esperti del mestiere: panificatori di professione e pizzaioli doc.
È stata una scelta naturale, data dall’allentamento – parziale e altalenante – delle restrizioni, che ci ha premesso di tornare a dedicare attenzione ad altro e di uscire dalla clausura delle mura domestiche, ma anche dalla volontà di sostenere le piccole imprese di fiducia e dalla voglia di assaporare una pizza come si deve, a seconda dei gusti di ognuno.
Difatti, seppur portabandiera dell’italianità nel mondo – sulla base degli ultimi dati elaborati da Italmopa, Associazione Industriali Mugnai d’Italia, il consumo pro-capite di pizza in Italia raggiunge circa 8 kg, mentre negli Stati Uniti si toccano i 13 kg – la pizza è da sempre anche fulcro di discussioni e dibattiti: meglio alta e soffice o sottile e croccante? Ricca di condimento o semplice? Al tegamino o alla pala?
Nel 2020 la primavera dei panificatori domestici e le limitazioni alla comune quotidianità non hanno placato questi conflitti sociali e palatali, bensì, hanno contribuito ad esacerbarli, ma in positivo. Secondo l’analisi condotta in onore dalla giornata mondiale della pizza da Deliveristo, marketplace digitale B2B dedicato alla ristorazione, oggi i consumatori si mostrano sempre più sensibili alle caratteristiche e alla provenienza delle materie prime e premiano le pizzerie che scelgono ingredienti di qualità. Molte di queste arricchiscono da anni il panorama gastronomico milanese, come Cocciuto, ristorante e pizzeria che conta ormai tre sedi e che impiega per le proprie preparazioni prodotti provenienti da presidi Slow Food, o Eataly Milano Smeraldo, che unisce all’attenzione per la qualità delle materie prime anche la ricerca di una ricetta unica, ideata da Francesco Pompilio, Maestro Pizzaiolo Eataly, con il supporto dell’executive chef Enrico Panero, del produttore delle farine Fulvio Marino e dell’esperto pizza di Slow Food Italia Antonio Puzzi.
Già da tempo tali attenzioni avevano contribuito a far rivalutare la pizza, considerata a lungo una proposta poco affine alla cucina di ricerca e sperimentazione, ponendola durante gli anni Dieci, al centro del ciclone gourmet. Oggi questa tendenza ha attirato anche diversi chef, che hanno deciso di provare a inserire la pizza nei menu dei propri ristoranti, come Andrea Provenzani, del ristorante Il Liberty di Milano.
Il 2020 è stato anche l’anno del delivery e la pizza d’asporto e a domicilio ne ha ampiamente beneficiato, conquistando il primo posto nella classifica delle cucine più ordinate secondo l’osservatorio di Just Eat. Inoltre, per venire incontro alle esigenze dei commensali a distanza, i ristoratori si sono attrezzati proponendo nuove alternative per coloro che storcono il naso davanti alla pizza nel cartone, come i kit, che permettono di concludere la preparazione delle pizze nelle cucine casalinghe.
Infine, sempre in tema di nuove limitazioni, una delle necessità che si è verificata negli ultimi mesi è stata quella di consumare pasti in sicurezza e comodità. Tali esigenze hanno premiato alcune preparazioni più di altre, come la pizza a portafoglio icona dello street food napoletano, facile da mangiare anche all’aperto, senza bisogno di forchetta e coltello. Il successo di questa pizza particolare ha superato da anni i confini partenopei, tanto che a Torino, la pizzeria Uagliò ne prepara sia una versione dolce che una salata.