Quando si tratta di preparare la Carbonara, siamo dei puristi. Fa parte della nostra comfort zone. Per questo deve essere perfetta. Eppure, complici momenti distratti, stressanti, incerti, anche per questo piatto tutti abbiamo fatto esecuzioni tutt’altro che perfette. Prima ci arrabbiavamo. Col tempo, come il conte di Hastings in Bridgerton, abbiamo capito che «il fatto che qualcuno non sia perfetto non lo rende meno degno di ricevere amore». Così abbiamo iniziato ad amare le Carbonare, tutte le Carbonare.
Per placare i titubanti e dare spazio ai creati, nel 2012 il Club della Carbonara ha ben pensato di creare una ricetta Democratica che, come scrive Eleonora Cozzella nel suo libro “La Carbonara Perfetta” (Cinquesensi), «spiazza gli intransigenti» e crea una base di partenza, «ampiamente personalizzabile secondo i propri gusti ma senza stravolgere l’anima stessa del piatto». Ed è del tradimento dell’anima della Carbonara, che oggi vogliamo occuparmi. Per farlo, potevamo parlare solo con una persona: il Re della Carbonara, Luciano Monosilio.
Tra democrazia e contemporaneità
Nello stesso anno in cui il Club della Carbonara lanciava la sua ricetta Democratica, Monosilio iniziava a proporre la sua preparazione Contemporanea nella cucina di Pipero al Rex prima e Pipero poi, a Roma. «Storicamente dubito che questo piatto, in passato, fosse cremoso, che chi lo preparava sapesse che a 65 gradi l’uovo coagulasse. Ad esempio, le mie zie e le mie nonne la facevano “stracciata”». Quindi quella che conosciamo oggi, con la salsa cremosa, è una versione che ha preso piede negli ultimi vent’anni. Restano alcune certezze: «La Carbonara è un piatto facile se lo fai a casa, per poche persone. Un’altra cosa è se la devi replicare tutti i giorni, per tanti. Io, per esempio, nel mio ristorante (Luciano Cucina Italiana, ndr.) non preparo mai una Carbonara per più di sei persone».
Gli errori da non fare con la Carbonara
Come dice Flavio De Maio dello storico ristorante romano Velavevodetto, «la Carbonara o ti riesce o non ti riesce: non è un piatto che puoi correggere». Monosilio replica: «Dipende da quanto è grosso lo sbaglio. Fino a una certa coagulazione dell’uovo, si può essere recuperare con l’aggiunta di acqua tiepida. Ma se arriva intorno ai 75 gradi, dobbiamo ricominciare».
Gli ingredienti
Iniziamo dagli ingredienti. Sulla pasta, purché secca, si può scatenare la fantasia. «Quella corta facilita il compito, quella lunga lo rende più difficile. Io uso gli spaghetti, che complicano un po’ le cose». Meglio evitare la pasta all’uovo o quella fresca per scongiurare il diabolico effetto “mappazzone”. Per quanto riguarda la diatriba pancetta vs guanciale, Monosilio rassicura i fan della prima: «La pancetta si può utilizzare tranquillamente: la prima ricetta scritta della Carbonara si trova in un libro americano e la elencava tra gli ingredienti». A imporre il guanciale nella ricetta fu Luigi Carnacina nel suo storico ricettario “La Grande Cucina”, pubblicato a novembre 1960. Monosilio consiglia «un guanciale con una stagionatura di almeno quattro mesi, di pezzatura compresa tra gli 800 grammi e il chilo, con un buon equilibrio tra parti di grasso e magro, in rapporto due a uno. Una parte di grasso ci serve in cottura, per rendere croccante i cubetti». Per il formaggio necessario per la ricetta meglio creare un mix di Pecorino romano e Grana Padano. Il pepe deve essere nero, stagionato, ma non vecchio, «altrimenti perde le note balsamiche». E infine, le uova. Oltre ad essere fresche, possibilmente di allevamenti biologici, meglio usare solo i tuorli o tutto l’insieme? «Io uso soltanto i tuorli, ma la mia non è una ricetta tradizionale», aggiunge lo chef. Quindi, se vi distraete e nella boule finisce dentro tutto, continuate a cucinare: non è nemmeno un peccato veniale.
Il procedimento
Mentre si fa cuocere la pasta e si mette a rosolare il guanciale, rendendo i cubetti croccanti fuori e morbidi dentro, si prepara la crema all’uovo. Monosilio la lavora come uno zabaione, a bagnomaria, aggiungendo tuorli, i formaggi e (almeno nella sua ricetta) il grasso ottenuto dal guanciale rosolato. Una volta cotta la pasta, questa viene mantecata con la crema, ma ricordiamo: non pastorizzare le uova usate per la Carbonara è un grave errore, di quelli da penna rossa. «Possiamo usare il termometro, ma si può anche fare senza. C’è un metodo, non infallibile ma che ci aiuta: immergiamo un cucchiaio nella crema all’uovo, lo tiriamo su e con un dito tracciamo una riga sul dorso della posata. Se la riga rimane segnata e non scende velocemente, l’uovo è pronto, pastorizzato». Dopo aver scolato la pasta, mantechiamola con la crema, il pepe macinato («grossolanamente, niente polvere») e una parte dei cubetti di guanciale (raffreddato) nella boule a bagnomaria. Aggiungere un po’ di acqua calda e mescolare fino a rendere tutto cremoso. Occhio al calore: «se teniamo la crema troppo sul fuoco, si rischia la coagulazione». Quando si va a impiattare, grattugiare il pecorino rimasto e ultimare con una macinata di pepe. La temperatura di servizio ideale? «Non deve essere calda o bollente, ma tiepida».
La ricetta della Carbonara di Luciano Monosilio è nella scatola dove conservo i bigliettini importanti. Come un messaggio d’amore, mi torna in mente quando cucino questo piatto. Poi capita che mi distraggo. Così ho scoperto che, proprio come nelle storie d’amore, non esiste una Carbonara uguale all’altra. Esiste quella “giusta”, al momento giusto, con tutti gli errori, le gioie e le incertezze di quel momento. Siamo buoni con noi stessi e “perdoniamoci” gli errori: c’è sempre tempo per fare “quella giusta”.