«La notizia è che Conte ha smesso di scimiottare un drago, come fece nella conferenza stampa di fine anno, ed è ridiventato camaleonte e tratta, media, sopisce. Quindi la trattativa è aperta, ma è condotta con una certa nebulosità da Zingaretti, tant’è che anche al vertice abbiamo la sensazione che non sia chiaro dove andiamo a parare». È palpabile, nell’atteggiamento e nelle parole dell’alto esponente del Partito democratico che si è aperto con Linkiesta in forma anonima, il disagio per le incertezze della dirigenza del Pd nel gestire la crisi. Nebulosità che diventa fitta nebbia sul tema ormai scottante della gestione politica dei Servizi e quindi della Autorità Delegata.
Innanzitutto, Conte con il suo solto animo da cunctator, da temporeggiatore, non ha ancora aderito alla ipotesi privilegiata dal Partito democratico: sue dimissioni nelle mani di Mattarella con contemporanea dichiarazione della piena disponibilità dei tre partiti della sua maggioranza di dare vita ad un nuovo esecutivo. Questo permetterebbe al Presidente di aprire la crisi formale ma anche di indire consultazioni lampo e di dargli rapidamente un mandato per un Conte ter. Quindi, tavolo di trattative in tempi strettissimi su programma e organigramma dei ministri.
Ma in realtà Conte è letteralmente nel panico di fronte alla prospettiva di dover ridiscutere tutti i dicasteri e gli equilibri. Panico acuito dal palese stato confusionale del suo partito di riferimento, i Cinquestelle, che vive le sue dimissioni e l’apertura di una crisi formale quasi come una deminutio della sua autorità politica, sulla quale si è fatto molte illusioni, dopo 18 mesi di arrendevolezza di Nicola Zingaretti e di smodati complimenti di Goffredo Bettini.
Quindi Conte si aggrappa con forza al diverso scenario di un rimpasto di governo – ovviamente con un passaggio parlamentare – ma senza apertura formale di una crisi. Sostanzialmente un cambiamento soft di alcune caselle che depotenzi le forti spinte destabilizzanti che Matteo Renzi sta dimostrando di ben sapere indirizzare.
Nell’un caso, crisi formalizzata, come nell’altro, rimpasto senza crisi, pesa la vincolante volontà comunicata informalmente, ma autorevolmente da Sergio Mattarella di non toccare due dicasteri chiave: la Difesa a Lorenzo Guerini, per non fare l’ennesima figura dei “soliti italiani” in sede Nato in una fase nella quale si decide il prossimo Segretario Generale (nomina che sarà fatta nel 2022, ma che si deciderà entro il 2021), e l’Interno a Luciana Lamorgese.
Dopo gli exploit turbolenti di Matteo Salvini nel gestire il Viminale, il Presidente preferirebbe infatti mantenere una supervisione morale e politica su questo fondamentale dicastero. Ma naturalmente il Presidente non farà della conferma della Lamorgese un ostacolo a eventuali equilibri trovati dalla maggioranza.
Il Pd però, confuso com’è, ci dice sempre la nostra fonte, pare non trovare il coraggio per pretendere il Viminale che Marco Minniti ha dimostrato che possono funzionare come una vice presidenza del Consiglio e sconfinare apertamente nelle competenze della Farnesina nelle crisi in atto nel Mediterraneo.
Date per scontate le poltrone traballanti di tutte le ministre del Pd e dei Cinquestelle, resta tesissima e apertissima la questione della direzione politica dei Servizi.
«Conte ha dovuto fare una poco gloriosa e un poco fantozziana marcia indietro sull’Agenzia per la Cyber Security e ha cancellato i 2,5 miliardi di finanziamento dal Recovery Fund. Ma mostra sempre di voler tenere duro sulla Autorità Delegata. E incredibilmente Zingaretti continua a non capirne il rilievo, dimenticandosi di una spasmodica attenzione del Pci-Pds-Ds-Pd al settore, dai tempi di Pecchioli in poi. Quindi – continua il nostro interlocutore del Pd – non stiamo chiedendo a gran voce l’Autorità Delegata per noi (candidato in pole: Emanuele Fiano, ma c’è chi avanza la candidatura di Guerini, che però verrebbe sottodimensionato), ma se non avremo l’Interno, sicuramente obbligheremo il segretario a pretenderla».
Resta quindi aperta la strada, indicata sia da Renzi che da Pierferdinando Casini, di una delega di Conte per la gestione politica dei Servizi a un suo fidatissimo collaboratore e qui si fanno ormai apertamente i nomi di Alessandro Goracci e Roberto Chieppa, rispettivamente capo di gabinetto e segretario generale della presidenza del Consiglio.
I giochi sono aperti.