Come dovremmo reagire a questa nuova era? Se lo chiede (e ce lo chiede) l’edizione 2020 dello «Human Development Report», curato dall’Undp, la principale organizzazione delle Nazioni Unite che ha lo scopo di porre fine all’ingiustizia della povertà, della disuguaglianza e del cambiamento climatico. E che per l’appunto trenta anni or sono ha creato, in alternativa al Pil come unica misura dello sviluppo umano, un modo nuovo di concepire e misurare il progresso classificando i paesi del mondo in base alla possibilità che le persone che vi abitano hanno, in termini di libertà e opportunità, di vivere vite di valore.
Che ci troviamo in un momento senza precedenti nella storia è indubbio: la crisi climatica, la grave perdita della biodiversità, l’acidificazione degli oceani sono solo alcune delle voci che compongono il lungo elenco delle azioni che hanno portato gli scienziati a ritenere che siamo entrati di fatto in una nuova era geologica chiamata Antropocene, poiché non è più l’umanità ad adattarsi al Pianeta bensì lo plasma consapevolmente. Tuttavia, gli incredibili progressi che come umanità abbiamo raggiunto sono stati ottenuti destabilizzato contestualmente tutti i sistemi su cui facciamo affidamento per la sopravvivenza e, in questa prospettiva, la pandemia da Covid-19 ci ha dato una mano a smascherare tutte le diseguaglianze e le debolezze nei sistemi sociali, economici e politici, che sono una concreta minaccia di inversione del nostro sviluppo.
La prossima frontiera per il nostro sviluppo richiede di lavorare con e non contro la natura, attraverso il cambiamento delle norme sociali, dei valori e degli incentivi governativi e finanziari. Ad esempio, recenti stime prevedono che entro il 2100 i paesi più poveri del mondo potrebbero soffrire fino a 100 giorni di condizioni meteorologiche estreme in più ogni anno, a causa dei cambiamenti climatici. Un numero che potremmo dimezzare se l’accordo di Parigi fosse pienamente attuato.
Invece i combustibili fossili sono ancora sovvenzionati. Secondo i dati del Fondo monetario internazionale citati nella relazione, il costo totale dei sussidi per i combustibili fossili finanziati pubblicamente, compresi i costi indiretti, è stimato a oltre 5 trilioni di dollari all’anno, o il 6,5% del Pil globale. Il rimboschimento insieme a una migliore cura delle foreste potrebbero da soli rappresentare circa un quarto delle azioni che dobbiamo intraprendere prima del 2030 per impedire che il riscaldamento globale raggiunga i due gradi Celsius sopra i livelli preindustriali.
Non è chiaro se le politiche verdi saranno capaci di influenzare le disuguaglianze socioeconomiche e in quale direzione – sostiene il report. Gli investimenti in infrastrutture possono rivelarsi politiche ambientali a favore delle fasce più povere: in Svezia, per esempio, gli investimenti nelle reti di riscaldamento urbano rinnovabile fatti negli anni ’70 e ’80 hanno permesso alle famiglie di ridurre la bolletta energetica e passare a tecnologie energetiche a basse emissioni di carbonio.
Una tassa sul carbone negli anni ’90 con regimi di sostegno per le famiglie (seguita da una riduzione delle tasse per le famiglie a basso reddito nel 2004) ha reso la Svezia uno dei rari paesi industrializzati ad aver ridotto le proprie emissioni di anidride carbonica tra il 1990 e l’inizio degli anni 2010, sostenendo la crescita e tenendo sotto controllo le disuguaglianze.
Tuttavia, altre forme di investimenti a basse emissioni di carbonio possono favorire i più abbienti: i treni ad alta velocità che collegano i grandi centri urbani possono avvantaggiare le élite urbane più delle comunità rurali. Sulla base di un ragionamento simile, le facilitazioni di credito per i settori verdi o le sovvenzioni alla ricerca e allo sviluppo possono essere fondamentali per accrescere l’innovazione verde e l’occupazione. Eppure, nelle economie duali con settori formali e informali, tali politiche possono aumentare il divario.
La trasformazione economica innescata dalla pandemia Covid-19 e le sue diverse risposte avvicineranno alcuni paesi al percorso degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, spingendone altri più lontano da essi. Come in ogni crisi, i fattori trainanti di un cambiamento sociale positivo si stanno manifestando. Rendere la ripresa post pandemia da Covid-19 un’opportunità per tutti i paesi di sfruttare la trasformazione richiesta dall’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e dai relativi obiettivi, è un imperativo quanto mai urgente.
L’azione pubblica, sostiene il rapporto, può affrontare queste disuguaglianze, con esempi che vanno dalla tassazione progressiva alla protezione delle comunità costiere attraverso investimenti preventivi e assicurazioni. Una mossa, questa, che potrebbe salvaguardare la vita di 840 milioni di persone che vivono lungo le coste. Ma deve esserci uno sforzo concertato per garantire che le azioni non mettano ulteriormente le persone contro il pianeta.
Dunque, non si tratta più di scegliere tra persone o alberi; si tratta di riconoscere, oggi, che il progresso umano guidato da una crescita ineguale ha fatto il suo corso. Solo affrontando la disuguaglianza, capitalizzando sull’innovazione e lavorando con la natura, lo sviluppo umano potrà compiere il passo in avanti che sostenga le società e il pianeta insieme.