Nel discorso sulla vicenda Lockheed, innanzi richiamato, Aldo Moro aveva espressamente richiamato la funzione formativa dei partiti politici nei confronti della società: «Se dobbiamo cogliere l’opinione pubblica, valutarne gli stimoli e accentuare la nostra capacità critica, non dobbiamo però seguirla passivamente, rinunciando alla nostra funzione di orientamento e di guida».
Era un’idea lucida della democrazia, forse oggi valida più di ieri. L’ha espressa con chiarezza Joe Biden, quando ha detto nel suo primo discorso da presidente eletto, l’8 novembre 2020: «Non saremo una guida perché saremo un esempio di potere, ma perché avremo il potere di essere un esempio».
Il progresso civile avviene quando società e politica sono entrambe consapevoli che il benessere nasce da un intreccio di volontà e disponibilità, non dal predominio dell’una sull’altra o dalla passività dell’una rispetto all’altra.
Due importanti studiosi dei processi economici e politici, Daron Acemoglu e James Robinson, hanno pubblicato un ponderoso studio, più di 750 pagine, sulle ragioni per le quali alcune nazioni prosperano più di altre e hanno concluso che un sistema ben ordinato necessita di uno Stato autorevole, ma non dispotico, e di una società che non transiga nel richiedere più libertà.
In sostanza la società dovrebbe obbligare il Leviatano-Stato ad assumere sempre nuovi doveri per garantire al meglio la libertà e la sicurezza dei cittadini. È certamente vero nella transizione dallo Stato autoritario al regime democratico; nelle democrazie contemporanee, invece, le cose sono più complesse.
Lo Stato democratico rispetto ai propri predecessori ha perso denti e artigli; non è più onnipotente proprio perché c’è la democrazia. Una parte delle responsabilità che prima gravavano interamente sulle spalle dei poteri pubblici si è spostata sulle spalle dei cittadini.
Le democrazie esigono cittadini-attori, critici ma consapevoli delle loro responsabilità. Le leggi, che sono lo strumento principale per il governo di una democrazia, non possono coprire l’universo dei comportamenti, a pena di ingessare l’intera società in un groviglio di norme, violazioni, punizioni, proteste e contestazioni.
Machiavelli ha messo in luce il rapporto tra leggi e «buoni costumi»: «Così come gli buoni costumi per mantenersi hanno bisogno delle leggi, così le leggi per osservarsi hanno bisogno de’ buoni costumi». Una repubblica delle leggi, spiegava, espressione che noi oggi potremmo sostituire con la formula Stato costituzionale di diritto, non può imporsi in una società che non abbia buoni costumi.
Nelle società contemporanee i buoni costumi corrispondono al senso di responsabilità, alla consapevolezza di essere titolari di doveri oltre che di diritti, all’adempimento di quei doveri.
Entra in gioco la funzione formativa dell’azione politica, che deve interagire con l’opinione pubblica senza esserne subalterna e deve essere in grado di spiegare il significato e le ragioni di scelte difficili o impopolari. Kennedy, nel libro più volte citato, parla del necessario coraggio dell’impopolarità e riporta una frase emblematica di John Quincy Adams, sesto presidente degli Stati Uniti, che si era impegnato a difendere «i loro [dei cittadini] interessi contro le loro inclinazioni, addossandosi ogni possibile conseguenza del loro risentimento, per salvarli dal vassallaggio alle proprie illusioni».
Chi non crede nel ruolo attivo dei cittadini, li accarezza; racconta che hanno sempre e comunque ragione: è concavo o convesso, a seconda dei casi; appare ligure in Liguria e siciliano in Sicilia; dà continuamente veste agli egoismi dei singoli.
È certamente più comodo inseguire l’opinione pubblica piuttosto che impegnarsi a formarla; ma è una comodità che non porta lontano, rende la politica succube degli umori del giorno e incapace di comprendere le correnti profonde che attraversano la società.
Chi si limita a inseguire i sentimenti che prevalgono, è un follower non è un leader, non ha coraggio politico e non ha fiducia né nelle proprie idee né nei cittadini. Questo leader divide il paese perché crea continuamente il nemico e invita gli ascoltatori a essere uniti non per un’idea di progresso civile, ma contro quel nemico costruito al tavolo della sua segreteria.
Creonte nel suo «discorso della corona» rivolto ai maggiorenti di Tebe, da lui riuniti, aveva annunciato le linee del suo governo e aveva aggiunto una frase di straordinaria efficacia: «è impossibile conoscere a fondo anima, pensiero, intendimenti di un uomo prima che abbia dato pubblica prova di sé» (vv. 175-177).
Le capacità di un uomo di governo, spiega Creonte, si possono accertare solo nel concreto esercizio delle sue responsabilità. Tra queste responsabilità c’è l’orientamento dei cittadini attraverso i propri comportamenti, non solo attraverso le parole.
Nel recente passato leader volgari hanno fatto crescere la volgarità complessiva della nazione e leader che facevano professione di razzismo hanno fatto emergere diffusi comportamenti razzisti.
È da presumere che la diffusione di onesti comportamenti potrebbe sollecitare analoghi atteggiamenti nella comunità nazionale. Lo abbiamo dimostrato durante gli anni più duri della ricostruzione del secondo dopoguerra, nella lotta contro i terrorismi, dopo le stragi di Palermo del 1992, durante la pandemia del 2020, con comportamenti responsabili che hanno aiutato decisamente per il superamento delle difficoltà.
Sono migliaia, inoltre, le donne e gli uomini onestamente impegnati ad amministrare il loro territorio, con molti sacrifici e poca riconoscenza. Contribuiscono alla vita del nostro paese e hanno diritto a classi dirigenti nazionali capaci non di imporre ma di proporre un complesso di legami storici, spirituali, emotivi, solidali nel quale ciascuno si possa riconoscere e possa avere un proprio posto.
Senza questi legami lo Stato democratico vive un’esistenza precaria, che può scivolare nella crisi di una collettività frammentata tra individui e gruppi intenti a sopraffarsi per sopravvivere.
Essere classe dirigente è una delle più gravose responsabilità in una democrazia. Non è possibile superare le fratture nella società se la politica non diventa capace di superare le proprie lacerazioni; non è possibile chiedere alla società di rispettare le regole se la politica non si dà regole; non è possibile invocare unità usando parole di divisione; non è possibile progredire sulla strada della democrazia, in definitiva, senza riconoscere il valore dell’altro.
Tutto questo presuppone un’etica politica fondata sul senso del dovere che è consapevolezza delle proprie responsabilità.
da “Insegna Creonte”, di Luciano Violante, Il Mulino, 2021, pp. 160, euro 12