Stipendi più altiMultinazionali e grandi imprese possono salvare il mondo del lavoro italiano

Il divario tra Nord e Sud dipende anche dalla retribuzione dei dipendenti e dalla presenza di major e big del mercato. Il Recovery Plan potrebbe essere un’occasione per favorire gli investimenti di società produttive in grado di aumentare la spinta economica (interna ed esterna)

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Le pagine social, molti articoli, molti interventi di politici e maitre a penser sono in questo periodo sfortunato pieni di recriminazioni sull’aumento della ricchezza, anche nel 2020, di molti miliardari, da Elon Musk a Zuckerberg e Bezos. Ovviamente messi a confronto con la situazione grigia dei lavoratori, tra cui coloro che hanno perso il posto e il proprio reddito.

A parte la confusione sempre presente tra il livello del patrimonio, che dipende anche dalle oscillazioni di mercato del valore di un’azienda, per esempio quelle delle sue azioni in Borsa e quello dei redditi, nel 2021 dobbiamo ancora capire che il legame tra i patrimoni dei ricconi e gli stipendi degli operai e degli impiegati è meno diretto di quello che pensiamo, e che il più delle volte non è neanche inverso – come amano credere in molti.

Anzi. A osservare i dati sugli stipendi degli italiani prima del Covid, sono soprattutto coloro che lavorano in grandi imprese, e ancora di più in multinazionali, a cavarsela meglio. E il divario presente tra questi e gli addetti delle tantissime micro-aziende è anche maggiore di quello che abbiamo sempre in mente quando parliamo di disuguaglianza in Italia, quella tra Centro-Nord e Mezzogiorno.

Intendiamoci, la differenza che intercorre tra il salario medio in Lombardia, quasi di 31 mila euro lordi, e quello in Calabria, di 18.330, è enorme, anche paragonata a quella tra le regioni più povere e più ricche degli altri Paesi Ue.

Dati ISTAT, 2018, migliaia di euro

Tuttavia, più che dalle ovvie differenze economiche probabilmente dipende dalla diversa composizione del tessuto delle imprese sul territorio. A parità di dimensione, infatti, i divari diminuiscono: il salario di chi lavora in un’azienda con meno di 10 dipendenti in Lombardia si ferma mediamente a poco più di 23 mila euro, che è certamente più dei 15.400 di un calabrese nella stessa situazione (il 50% in più, ma questa differenza è inferiore a quella del 68% che troviamo tra i salari medi).

Lo stesso può dirsi per le altre classi di addetti. Non è il divario geografico quello centrale, bensì quello dimensionale. In Lombardia i 23.230 euro lordi all’anno dei lavoratori della microazienda diventano 37.380 nel caso del dipendente di quella grande, con più di 250 addetti, il 67% in più all’incirca. Ed è così un po’ ovunque, soprattutto nelle regioni più avanzate economicamente del Nord. Lo stipendio medio qui aumenta più del 50% passando dalle imprese più piccole alle più grandi.

Dati ISTAT, 2018, migliaia di euro

In sostanza se il lavoratore lombardo mediamente guadagna il 18% in più di quello medio italiano, all’interno della regione le disuguaglianze sono così ampie che il lavoratore assunto nelle imprese più piccole prende il 25% in meno della media regionale. Mentre il campano che ha la fortuna di essere occupato nelle aziende più grandi arriva ad avere uno stipendio del 38,3% maggiore di quello medio campano.

Dati ISTAT, 2018, migliaia di euro

Il risultato è che chi lavora in una micro-impresa in Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, guadagna meno di un campano, un siciliano, un pugliese, impiegato in una grande azienda. Questo non perché i grandi imprenditori siano più generosi dei piccoli, ma per il semplice motivo che le grandi imprese riescono a essere più produttive: il valore aggiunto che viene generato per ogni addetto è maggiore, spesso il doppio, come in Toscana, Veneto, Emilia Romagna, Lombardia, di quello nelle aziende micro.

Il problema è che in alcune aree le grandi imprese sono incredibilmente poche. Per l’Istat in Campania parliamo di 172 unità locali su 371.988, una ogni 2.163. Addirittura solo una ogni 2.974 in Sicilia, dove raccolgono solo il 6,6% dei dipendenti. Al contrario della Lombardia, in cui il 12,7% dei dipendenti lavora in una delle 867 unità locali di imprese con più di 250 addetti, che sono del resto più numerose, circa una su mille.

A essere avvantaggiati sono anche e soprattutto i lavoratori nelle multinazionali, che del resto spesso e volentieri compongo una buona parte delle imprese più grandi. Nelle multinazionali straniere si guadagna mediamente un po’ di più che in quelle italiane, 53.590 euro contro 51.230, ma non sono certo questi i divari degni di nota, e neanche quelli tra regione e regione, visto che nel caso di quelle straniere si va ai 62.820 della Lombardia ai meno di 40 mila della Puglia.

Anche questa differenza, tra l’altro in una fascia di reddito in cui l’utilità marginale di un euro in più è minore che in fasce inferiori, è più bassa di quella che si ritrova tra il lavoratore della multinazionale e tutti gli altri. I primi guadagnano più del doppio degli altri in molte regioni, a Sud come a Nord. E anche qui un lavoratore di una multinazionale pugliese se la cava meglio di uno medio lombardo, tanto per dire.

Dati ISTAT, 2018, migliaia di euro, multinazionali in blu, tutte le aziende in viola

Anche in questo caso a essere determinante è invece la concentrazione di queste imprese. Le multinazionali estere in Lombardia hanno 15.876 unità locali e quasi 470 mila addetti, in Campania ve ne sono invece 1.334 con 40.432 lavoratori. Un rapporto di 10 a 1, insomma.

È sempre più evidente che vi è un problema di offerta oltre che di domanda, di presenza di imprese produttive, di dimensioni insufficienti che non favoriscono tale produttività. I governi possono anche pensare di cominciare da interventi a valle, sul cuneo fiscale, sul costo del lavoro, come viene fatto con gli sgravi per le nuove assunzioni al Sud, cosa di per sé non sbagliata, ma a monte vi è l’elefante nella stanza dell’economia italiana: la carenza di grandi imprese e multinazionali e la poca spinta, interna o esterna, a diventarlo che si riscontra in quelle piccole e medie già presenti.

Il Recovery Plan è un’occasione per affiancare alle solite misure di stimolo quelle che agirebbero alla radice del problema. Per esempio favorendo i grandi e i piccoli investimenti dei fondi e dei risparmiatori in imprese e ricerca, fondamentale per ingrandirsi e diventare più produttivi.

E se leggiamo di Musk, Zuckerberg & company che aumentano ancora i loro patrimoni, invece di indignarci auguriamoci che investano in Italia, e chiediamoci cosa impedisce loro di farlo, o ancora meglio, impedisce che in Italia nascano imprenditori simili.

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