L’inaugurazione della sezione serba del gasdotto Turkstream costituisce una significativa vittoria strategica per il Cremlino. Il Presidente serbo Aleksandar Vucic, che ha preso parte alla cerimonia di apertura, ha definito l’evento come «Un grande giorno per la Serbia» e ha lodato il progetto definendolo come «fondamentale per il futuro sviluppo» del Paese.
Il segmento serbo, lungo 403 chilometri, è parte del metanodotto TurkStream, che rifornisce Bulgaria, Serbia, Turchia ed Ungheria di gas naturale russo e che è stato costruito per evitare che i rifornimenti di Mosca debbano transitare dall’Ucraina. Le relazioni tra Mosca e Kiev si sono guastate dal 2014, in seguito alla svolta filoccidentale decisa dal governo di Kiev e allo scoppio delle tensioni in Crimea e nel Donbass.
La crisi politica ha avuto chiare ricadute energetiche, un capitolo importante delle relazioni bilaterali. Basti pensare che, solamente nel 2018, l’azienda energetica russa Gazprom ha fornito 200 miliardi di metri cubi di gas naturale all’Europa e il 40 per cento è passato dall’Ucraina.
Il TurkStream è un progetto che intende soddisfare la domanda energetica dell’Europa meridionale, sudorientale e anche della Turchia. Due condutture parallele nascono nella città costiera di Anapa, attraversano il Mar Nero per circa 930 chilometri e vanno a unirsi a un terminale che si trova nella regione turca della Tracia. Una conduttura rifornisce il mercato turco mentre l’altra è destinata a quello europeo.
A partire dal primo gennaio del 2020 la Russia ha iniziato a deviare le proprie esportazioni dallo storico gasdotto Trans-Balcanico, che collega l’Ucraina ai Balcani e alla Turchia, al TurkStream. A rimetterci sono state Moldova, Romania e Ucraina. La compagnia romena TransGaz, che si occupa del trasporto del gas naturale, ha perso il 9 per cento dei propri profitti nei primi nove mesi del 2020 a causa della diversificazione del transito. Il Cremlino ha comunque il coltello dalla parte del manico.
La Bulgaria dipende quasi completamente dal gas russo e un progetto che gli consentirebbe di acquisire una maggiore indipendenza energetica, mediante la costruzione di un interconnettore che gli consentirebbe di legarsi al gasdotto Trans-Adriatico (TAP), è in forte ritardo. Stesso discorso per quanto riguarda l’Ungheria, che ha bisogno dell’aiuto di Mosca per soddisfare il 50 per cento del suo fabbisogno energetico e la percentuale crescerà fino al 60 per cento nel 2030.
Non è un mistero, d’altronde, che il primo ministro ungherese Viktor Orban e il Presidente russo Vladimir Putin siano in ottimi rapporti. La Serbia, infine, riceve il 95 per cento del proprio gas naturale dalla Russia (e soddisfa in questo modo l’80 per cento del proprio fabbisogno energetico).
L’Unione Europea ha mostrato una certa preoccupazione, negli ultimi anni, per questo stato di cose ed ha invitato Belgrado a ridurre la propria dipendenza da Mosca. La Serbia aspira, infatti, a entrare a far parte dell’Unione Europea e Bruxelles teme che la nazione balcanica possa essere sfruttata da Mosca per penetrare all’interno del processo decisionale europeo.
Il presidente Aleksandar Vucic è il principale alleato di Mosca nei Balcani ed esercita un controllo pressoché totale sulla vita politica della Serbia. Il Partito Radicale, di cui fa parte, e gli altri partner di coalizione hanno ottenuto una vittoria schiacciante alle elezioni parlamentari del giugno del 2020, conquistando ben 230 sui 250 del Parlamento nazionale. La Russia e la Serbia condividono un’eredità culturale comune, utilizzano il medesimo alfabeto, il cirillico e sono entrambe di fede ortodossa.
La politica estera della Serbia non guarda, però, esclusivamente a Mosca. L’Unione Europea è il principale partner commerciale di Belgrado (67 per cento dell’import) mentre in ambito bellico l’alleato di riferimento è comunque la Russia. La Serbia ricopre il ruolo di osservatore all’interno dell’Organizzazione per il Trattato della Sicurezza Collettiva (CSTO), un’alleanza a carattere difensivo guidata da Mosca e a cui prendono parte alcuni Stati dell’ex Unione Sovietica e nel 2019 si è svolta l’esercitazione militare congiunta tra Serbia e Russia denominata Slavic brotherhood.
C’è poi l’importante questione del Kosovo. Vucic ha dichiarato che rifiuterà l’adesione all’Unione Europea se non otterrà concessioni in cambio del riconoscimento del Kosovo ed ha inoltre affermato che nessuna definizione delle future relazioni tra la Serbia ed il Kosovo è possibile senza il consenso di Mosca. Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha dichiarato, nel corso di una visita a Belgrado svoltasi nel giugno del 2020, che Mosca supporterà unicamente quelle soluzioni che siano accettabili per Belgrado e che abbiano il consenso del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Non è casuale che Lavrov abbia scelto proprio la Serbia come meta della prima visita ufficiale dopo la fine della quarantena post- Covid nella Federazione Russa.
La politica energetica è uno strumento fondamentale che consente alla Russia di esercitare la propria influenza in Europa e il gasdotto Turkstream è destinato a consolidare ulteriormente l’egemonia di Mosca in Europa Orientale. Un’egemonia che in Serbia è palese. La Gazprom è azionista di maggioranza della Naftna Industrija Srbije, la principale azienda petrolifera della nazione.
L’avversione della popolazione serba nei confronti della Nato, a causa della perdita di vite umane scaturita dal conflitto tra le parti svoltosi nel 1999, è un altro elemento che gioca a vantaggio della Russia. Non è chiaro se Mosca avrà la forza e la volontà di tenere legato a se un alleato che, anche dal punto di vista geografico, è molto lontano dalla propria sfera di influenza. Lo stato di salute dell’economia russa nella fase di ripresa che farà seguito alla pandemia e la pianificazione strategica da parte del Cremlino saranno molto importanti per capire su quali obiettivi potrà e dovrà puntare la Russia nel prossimo futuro.