Gli effetti della disinformazioneI due modi in cui i media turchi parlano dei rifugiati siriani

In Turchia le famiglie fuggite dalla guerra vengono raffigurati come ospiti da aiutare, evidenziando così la superiorità morale sull'Europa, oppure come una minaccia sottolineandone l'estraneità dall’identità socio-culturale del paese

LaPresse

Pubblicato originariamente su Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa ed Europe Canada Network
La Turchia attualmente ospita 3.88 milioni di profughi siriani e agisce di fatto da controllore e filtro dei movimenti migratori di massa diretti in Europa. I siriani in Turchia non godono dello status di rifugiato ma di uno “status di protezione temporanea” (SPT). Tale condizione permette loro di accedere a strutture sanitarie e all’istruzione, con la possibilità di lavorare nella provincia in cui sono registrati. Tuttavia, lo SPT non stabilisce la durata della protezione, tenendo di fatto i rifugiati in una condizione di incertezza. Inoltre, la maggior parte della popolazione siriana in Turchia ha un accesso limitato ad abitazioni dignitose e al mondo del lavoro e soffre dunque di problemi legati a instabilità economica e sociale.

Al marzo 2019 solo 31.185 siriani erano in possesso di un permesso di lavoro regolare. La grande maggioranza dei rifugiati lavora in nero, con paghe che sono al di sotto del salario minimo previsto dalla legge. La pandemia del Covid-19 ha inasprito ulteriormente la situazione, lasciando migliaia di profughi senza lavoro.

Le misure adottate dal Partito della giustizia e dello sviluppo (AKP) negli anni recenti sono interpretabili come un segno dell’accettazione da parte delle autorità turche di una possibile permanenza a lungo termine dei siriani. La questione è anche affrontata nel piano di sviluppo della presidenza per il 2019-2023, dove viene espressa la necessità di sviluppare politiche efficienti per l’integrazione economica e sociale dei rifugiati. Tuttavia, i discorsi pubblici dell’AKP sono ancora incentrati su un eventuale ritorno a casa propria dei siriani.

E alcune notizie del luglio 2019 sul rimpatrio forzato di rifugiati da Istanbul hanno suscitato preoccupazione per l’eventualità che quel gesto potesse sfociare in un’azione di rimpatrio di massa. Infine, dal momento che la popolazione siriana vive quasi completamente al di fuori dei campi rifugiati, la capacità dei centri di servizio sociale nelle aree dove c’è maggiore concentrazione di profughi continua a essere messa a dura prova e questo crea tensioni con la popolazione locale. E l’utilizzo strumentale della questione dei rifugiati – che sia per scopi di politica interna o internazionale – da parte dei politici non fa altro che contribuire al peggioramento della situazione.

I discorsi riportati sui media, senza dubbio, influenzano la percezione dei rifugiati siriani da parte della società turca, e dunque la loro accettazione a livello sociale. Nel contesto turco, la presenza dei siriani è strettamente intrecciata ai discorsi identitari nazionali, nonché ai conflitti di politica interna. Di conseguenza, i discorsi sui media riflettono la posizione politica della testata in questione e il suo sostegno – o meno – al governo. Alcuni studi recenti  hanno dimostrato che esistono sui media due tipi di discorsi che vengono alternativamente o contemporaneamente utilizzati per rappresentare i rifugiati siriani.

Il primo tipo di discorso è “umanitario”, incentrato sulle difficoltà derivanti dall’essere “profughi”. Un discorso che presenta i rifugiati come “persone bisognose” e che li identifica spesso con un’entità collettiva e passiva che serve a mettere la controparte turca in buona luce. Alcune di queste rappresentazioni esprimono in maniera diretta i discorsi umanitari sulla solidarietà religiosa dei politici dell’AKP. Mentre è raro che i media – sia quelli pro-governativi che d’opposizione – vadano a specificare lo status legale dei siriani, i membri dell’esecutivo utilizzano di frequente il termine “ospite” quando li devono menzionare.

La ricercatrice Rabia Polat spiega che questo termine indica una situazione di temporaneità, sottintendendo che l’accettazione della Turchia di compagni siriani musulmani è un obbligo morale e dunque offrendo anche una giustificazione per la loro presenza al proprio elettorato. Ma il discorso umanitario sui rifugiati è utilizzato dall’AKP anche per affermare la propria superiorità morale sull’Europa e l’Unione europea, che in questo quadro è accusata di essere irresponsabile e inumana.

Il secondo tipo di discorso pubblico raffigura i rifugiati siriani come una “minaccia” e utilizza affermazioni discriminatorie e alienanti associate a determinate questioni politiche e sociali. La tendenza è maggiormente visibile in alcuni media d’opposizione, che coniugano discorsi securitari con critiche rivolte alle politiche del governo in Siria e alla gestione dei profughi.  L’immagine che viene così costituita rappresenta i siriani come un “peso” per l’economia del paese ma anche come un gruppo di persone che risultano estranee all’identità socio-culturale del paese.

Altri studi  hanno fatto notare che anche le piattaforme social, al pari dei media tradizionali, sembrano avere un ruolo importante nella diffusione dei discorsi che presentano i siriani come “l’altro”. Le stesse rendono anche possibile la circolazione di notizie false o non verificate, utilizzate per fornire una giustificazione “razionale” ai discorsi discriminatori e nazionalisti. Il livello di disinformazione sui rifugiati siriani ha portato alcune ONG e piattaforme di debunking ad avviare campagne di controinformazione. Un esempio recente è Suriyelilerle İlgili Doğru Bilinen Yanlışlar [Falsità che si danno per vere sui siriani], un libretto preparato  dall’Associazione Mülteciler e che presenta 16 falsità di questo tipo.

“I siriani ricevono un salario dal governo”; “I siriani hanno accesso a case popolari gratuite” e “i siriani potranno votare alle prossime elezioni” sono tra le fake news più diffuse. Questo tipo di notizie sono però anche spesso ripetute nei discorsi e nei commenti sui social media dei rappresentanti del principale partito d’opposizione  (CHP – Partito repubblicano del popolo), come pure da quelli dei partiti nazionalisti turchi (il MHP – Partito di azione nazionalista, alleato dell’AKP e İYİ Parti).

Commenti che trovano eco nella percezione pubblica sui rifugiati siriani, come esemplifica una ricerca  del 2019 realizzata a Istanbul dall’Istanbul Political Research Institute. Secondo lo studio, per il 78% degli intervistati il governo tratta i siriani meglio di come tratta i cittadini turchi. Ad un’altra domanda il 78% afferma di non avere alcun contatto con loro, nonostante li veda ogni giorno nella strada in cui abita ( lo hanno affermato 52%), sul posto di lavoro (44%) oppure nei negozi e alimentari (69%). Per il 49% degli intervistati i siriani rappresentano una “razza che ha minor talento”, mentre il 36% ritiene che “non sono vittime di guerra”. Infine, il 33% afferma di provare “profonda rabbia”, mentre il 47% dei partecipanti esprime “un profondo senso di inquietudine” nei confronti dei rifugiati siriani.

Se la maggior parte dei rifugiati continuerà a vivere in Turchia, l’integrazione dei siriani nella società locale risulta ancora più importante e impegnativa. Quello che è evidente è che i messaggi ambigui ed escludenti dei politici al pubblico possono solo aggravare le tensioni esistenti.

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