Nella notte più buia della Repubblica fin dai tempi degli anni di piombo, una notte in cui si agitano fantasmi del passato ed ectoplasmi del presente, una buona notizia giunge da Lucio Caracciolo che annuncia di aver dato vita a una scuola di formazione geo-politica finalizzata a fornire validi orientamenti e concrete competenze alla parte non contaminata della classe dirigente e soprattutto a delle giovani leve su cui sperare per rifondare il Paese.
Il primo settembre del 2020 scrissi un articolo in cui criticavo aspramente il moltiplicarsi, ad opera di soggetti politici fragili e spesso inconsistenti, di iniziative che si fregiavano abusivamente di quella nobile definizione che affonda le proprie radici nella classicità. Scrivevo in quella occasione:
«Si succedono in questi giorni di fine estate i tanti eventi di cosiddetta formazione promossi dai diversi soggetti politici. Si tratta di brevi weekend trascorsi in località amene nell’attesa dell’arrivo del líder máximo di turno o di suoi succedanei con cui scattare selfie e scambiare regolamentari gomitate. L’illusione, spero senza secondi fini, di organizzatori spesso digiuni di competenze formative ma sazi di propaganda sui social, è quella di fidelizzare una parte minimale dei ragazzi italiani cui purtroppo non è stato mai proposto da parte della scuola, e meno che mai dall’università, alcun insegnamento civico.
Tale fidelizzazione, tuttavia, non è di tipo contenutistico ma punta a fornire consenso a questo o quel ras locale che in tal modo si accredita verso i propri referenti nazionali, millantando talvolta un consenso “tra i giovani” spesso inesistente e volatile. Attesa la caratterizzazione post vacanziera e la breve durata di molti di tali eventi, nessuno spazio può essere riservato all’approfondimento delle cause storiche all’origine dei tanti problemi che il Paese si trascina dal tempo dell’unificazione nazionale; ancora minore è l’attenzione alle tecniche classiche della comunicazione pubblica le cui origini risalgono al tempo dei sofisti del V secolo a.C.
Abili e competenti professionisti della parola, i sofisti insegnavano le principali arti del parlare in pubblico con finalità pratiche: l’Oratoria come capacità di parlare bene, in modo corretto e convocativo, la Retorica come abilità di disporre di solide basi a supporto delle proprie argomentazioni e la Dialettica, il sublime strumento per confutare la tesi dell’avversario, utilizzandone in modo rovesciato le medesime affermazioni. Di quest’ultima è residuato solo il trucco volgare e indisponente per l’uditorio di interrompere l’interlocutore, sperando che “perda il filo” del proprio discorso. Un ulteriore elemento critico che prepara l’insuccesso di tali piccoli eventi è la confusa ibridazione che deriva dalla sostituzione dei Testimoni con gli influencer la cui differenza non sfuggirà al lettore attento che conosce bene la statura degli uni e degli altri.
Quindi: poche e frettolose analisi delle cause remote e recenti del disagio sociale, dalla cui presa di coscienza origina ogni spinta a intraprendere il lungo cammino del cambiamento; mancata proposta di strumentazione tecnico/relazionale, sostituita dal manuale di Facebook o di Twitter; assenza di maestri di vita e di militanza politica, ancor più preziosi se esponenti di visioni politiche opposte a quelle degli organizzatori; ampia diffusione dei libelli instant book di leader momentanei e transeunti, frutto della fatica di volenterosi ghostwriter a tanto al chilo.
Essi ricordano il tormento del professore meridionale Luciano Sandulli, interpretato dall’attore Silvio Orlando nel film di Daniele Lucchetti del 1991, “Il Portaborse”. Egli aspira a ottenere l’intervento statale nell’antica casa in cui abita, dichiarata di interesse storico ma pericolante perché trascurata dal ministero dei Beni culturali, e il trasferimento della fidanzata Irene, insegnante precaria fuori sede, interpretata da Angela Finocchiaro. Accetta così le umiliazioni imposte dal luciferino deputato Cesare Botero (Nanni Moretti) bulimico di ogni forma di potere. Si riscatterà clamorosamente nella scena finale del film e tornerà a insegnare l’italiano agli studenti della Costiera Amalfitana che non ha mai dimenticato. L’onorevole Botero verrà rieletto.
Sono certo che le vistose lacune nell’impianto degli eventi formativi della politica odierna facciano inorridire esponenti di indubbio spessore culturale quali Gianni Cuperlo e Massimo D’Alema o, sul versante opposto, Marcello Veneziani o Pietrangelo Buttafuoco, passando per uomini e donne più vicini al mondo cattolico quali la sociologa Chiara Saraceno o Ernesto Olivero, fondatore del Sermig – Servizio Missionario Giovani – di Torino o ancora, con tutti i limiti umani della persona, come Andrea Riccardi che opera dal 1968 con la Comunità di Sant’Egidio.
Per non parlare di intellettuali appartenenti al clero più illuminato, quali il direttore della rivista Civiltà Cattolica, Padre Antonio Spataro, s.J. o il cardinale Gianfranco Ravasi. Torno con la memoria alle regole rigorose e ai risultati concreti ottenuti in passato dall’Istituto di studi comunisti (meglio conosciuto come Scuola delle Frattocchie) o di quella grande officina intellettuale e politica che fu la Federazione universitari cattolici italiani (Fuci)».
Ora, nel centenario della nascita del Partito comunista italiano, la giornalista siciliana Lidia Tilotta, volto molto noto di TGR Sicilia e scrittrice, ha voluto condividere su Facebook le sensazioni provate da giovanissima nel corso di quelle esperienze:
«Quando nei corridoi del bottegone incrociavo i grandi di un partito che grande lo era per davvero il cuore batteva forte per l’emozione. Quegli stessi grandi che d’estate, a Frattocchie, diventavano maestri pronti a incontrare quei giovani che della politica avevano fatto la passione della vita. Perché questo era. Perché per noi, il “noi” era il punto. Non l’“io” ma il “noi”. E con quel partito entravamo anche in conflitto quando serviva, quando quei ragazzacci della Fgci che altro non eravamo decidevamo che quando serviva bisognava anche scontrarsi con i “grandi”. Ma il partito c’era, era lì a indicarci che un’altra strada era possibile, che quello per cui ci stavamo battendo poteva essere realizzato e ci spronava a farlo, a crederci scendendo in piazza contro la mafia, per la pace, per il diritto allo studio, così come andando a parlare con le donne dei bassi di Palermo perché sapessero cosa erano i contraccettivi. Ma più in grande, per cambiare una società ingiusta. Ed era bello confrontarsi, incontrarsi, stare insieme con chi arrivava da altre città, da altri Paesi, a Roma come a Frattocchie, ad Ariccia come a Cattolica. Eravamo una grande comunità e ci divertivamo pure. Ma ciò che di più forte quella scuola di vita mi ha insegnato è a non perdere la capacità di sognare e essere visionari. Di battersi per ciò in cui si crede».
Sempre nel mio articolo del settembre scorso, scrivevo:
«Trovo che le più recenti iniziative di formazione politica strutturate a tutto tondo, oltre ai già citati Sermig e Comunità di San’Egidio, siano state il Gruppo Politica, fondato da Piersanti Mattarella nel 1971 e la Libera università della politica – Lup, fondata nel 1994 da Padre Ennio Pintacuda s.J., le cui sessioni regolari erano concluse dagli eventi nazionali estivi tenuti a Filaga, frazione del paese siciliano di Prizzi (Palermo) con la partecipazione di voci e di volti provenienti da ogni angolo del mondo. Altri tempi, anche se non troppo lontani, ma soprattutto altri maestri e altro stile formativo, improntato al rigore gesuitico circa la necessità di scelte non negoziabili e controcorrente, sorrette da saperi consistenti e da visioni coraggiose.
Si possono allora individuare le tre componenti necessarie per una Scuola di formazione politica all’altezza del compito: continuità e durata, carisma dei maestri, conoscenza e continuo studio del passato e del presente al fine di individuarvi “i segni dei tempi” e di progettare il futuro. Necessari, infine, il confronto con opinioni dissonanti e la progressiva attività sul campo della militanza, quasi uno stage di cui discutere periodicamente con i propri mentori».
È soltanto da esperienze di tale levatura che può sorgere una nuova classe dirigente in quella suprema prova del sentimento e dell’ingegno umano che è la Politica su cui incombono la profezia e il monito di Enrico Berlinguer espressi durante una celebre intervista rilasciata a Eugenio Scalfari quaranta anni fa:
«I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela; scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società, della gente; idee, ideali, programmi pochi o vaghi; sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l’iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un “boss” e dei “sotto-boss”».
Ora, l’iniziativa annunciata da Lucio Caracciolo – assolutamente non ideologica e aperta su un “oltre politica” che archivi presto “l’anti politica” – aspira a inaugurare una nuova strategia formativa traguardata su nuovi presupposti e solidamente fondata su un immenso patrimonio di conoscenze, analisi ed esperienze che coincide con la vita della rivista Limes, fondata nel 1993 e diventata un punto di riferimento costante per le analisi più avanzate della realtà contemporanea. Chi ha la fortuna di possedere l’intera collezione della rivista sa bene quanto le analisi accurate e documentate che vi sono contenute siano state spesso di grande utilità a quanti si sono avvicendati a Palazzo Chigi e alla Farnesina, a condizione che conoscessero l’esistenza del periodico e fossero in grado di leggerlo e capirlo.
L’impostazione delineata in poche parole da Caracciolo in chiusura di una puntata della trasmissione “Otto e mezzo” condotta da Lilli Gruber su La 7, è già presente anche sul sito della rivista.
Chi scrive ha diretto per oltre trent’anni scuole di alta formazione per quadri associativi, manager aziendali, dirigenti pubblici e futuri quadri politici. E, su tale base, ritiene di poter dare un giudizio competente su struttura e funzionamento della nuova proposta a cui da queste pagine dà il benvenuto.
Di rilievo appaiono le innovazioni rispetto alle scuole di formazione politica/partitica del passato quali la visione internazionale; l’accesso a dirigenti e quadri provenienti dai mondi dell’amministrazione pubblica e dell’impresa e a soggetti della società civile qualificati e motivati, prescindendo dalla tessera, o comunque si chiami adesso, posseduta; la pratica dell’analisi delle mappe, di cui occorre riconoscere la paternità e il merito a Federico Rampini; una Faculty di altissimo livello, un approccio multidisciplinare con particolare attenzione al fattore umano e all’interesse nazionale nello scenario mondiale.
Un vivaio, dunque, irrigato da pensiero libero e laico di cui si avverte da tempo la necessità e ora l’urgenza, cui potranno fare riferimento trasversalmente, in un futuro non lontano, anche le nuove formazioni politiche di cui auspichiamo la nascita. Un vaccino potente che immunizzi dalle tare ereditarie di molti degli attuali partiti e conferisca a quanti dovranno ricostruire il Paese nei prossimi anni valori, competenze trasversali e strumenti operativi efficaci.
Il 28 gennaio 1986 Christa McAuliffe, la docente di Boston selezionata dalla Nasa quale prima astronauta che avrebbe insegnato dallo spazio nel programma Teacher in Space, perì insieme agli altri sei membri dell’equipaggio nel disastro del Challenger, precipitato settantatré secondi dopo il lancio. Per registrare i propri pensieri intendeva tenere un diario simile a quello delle donne che presero parte alla conquista del West sui carri coperti Conestoga, resi famosi dal cinema.
L’evento scatenò un’onda di emozioni negli Stati Uniti e nel mondo e, pochi mesi dopo, il giornalista americano Robert T. Hoeler scrisse la biografia di colei che era diventata simbolo di emancipazione, di cultura e di sacrificio e che a Kamala Harris sarebbe piaciuta molto. Il titolo è potente: “I Touch the Future” e, nella variante “I Touch the Future. I Teach”, divenne il motto di centinaia di scuole e istituzioni formative americane che le furono dedicate. Ricordare quelle parole trentacinque anni dopo mi sembra un ottimo augurio per l’iniziativa di Limes a cui guardiamo con curiosità pedagogica, interesse culturale e insopprimibile speranza nel futuro.