Linkiesta ForecastIl complottismo globale non è finito

Gli intellettuali progressisti tendono a considerare le teorie della cospirazione come una lettura semplificata della realtà e come una malattia che colpisce esclusivamente gli altri. Ma si tratta di due errori. Dal nuovo magazine de Linkiesta con il New York Times acquistabile in edicola e qui

AP/LaPresse

Se pensate che gli anni che abbiamo alle spalle, diciamo dal 2016 in poi, siano stati caratterizzati dal proliferare di teorie della cospirazione, fake news, post-verità e qualunque altro orrendo neologismo possiate immaginare, aspettate di vedere i prossimi.

Prima di proseguire, però, mettiamoci d’accordo su un punto. Prevedere catastrofi è sempre un pessimo investimento: se poi non si verificano, quelli che hai inutilmente spaventato non mancheranno di fartela pagare; e in caso contrario, avranno tutti altro a cui pensare. Dunque premetto che anch’io, come ciascuno di voi, spero che l’arrivo dei vaccini ci permetta di superare una volta per tutte questo periodo angoscioso, e che le fosche profezie sulla comparsa di nuovi virus non meno letali del Covid si rivelino infondate. Temo però che in ogni caso le conseguenze psicologiche – e dunque anche sociali e politiche – dell’esperienza vissuta dall’intera umanità nel corso del 2020 ci accompagneranno per un bel po’. E penso che una delle prime sarà proprio una nuova primavera del complottismo globale, alla quale mi sembra peraltro che Donald Trump, cui non manca il fiuto, abbia cominciato a prepararsi per tempo. Le forze democratiche, al contrario, continuano a sembrarmi piuttosto disarmate dinanzi a una simile minaccia, forse anche per un difetto di comprensione.

Gli intellettuali progressisti tendono infatti a considerare le teorie della cospirazione in due modi: come una lettura semplificata della realtà, che deve il suo successo proprio alla capacità di sollevarci dalla gravosa fatica del pensare (duro compito al quale essi, ovviamente, mai si sottraggono); e come qualcosa di completamente estraneo, un problema che riguarda esclusivamente gli altri.

Quanto al primo punto (il complotto come versione semplificata di una realtà troppo complessa) basta guardare alle teorie fiorite attorno all’11 settembre. Un ingenuo potrebbe pensare infatti che una macchinazione internazionale ordita da una rete terroristica diffusa su tutto il pianeta per gettare nel caos le democrazie occidentali, tutto sommato, dovrebbe essere abbastanza per gli amanti del genere cospirazionista. E invece, come ben sappiamo, l’argomento dei complottisti è proprio l’opposto: troppo semplice! 

Il ritornello è sempre lo stesso: la realtà non è mai come appare. Di conseguenza, se non può essere più grande, dev’essere più piccola. Spesso anche grottescamente, imparagonabilmente più piccola. Come è imparagonabile e ridicolo, nonché anacronistico, di fronte allo spettro di una jihad globale, il gergo a metà tra il poliziottesco e la propaganda estremista anni 70 di tanti libri, articoli e documentari sull’11 settembre, la strage di Charlie Hebdo o le origini dell’Isis, con le loro allusioni a oscure manovre di Israele e della Cia. Magari fosse tutta una montatura della Cia! Non ci mettereste subito la firma? 

Quello che conta non è dunque il bisogno di semplificare, ma di rendere prevedibile, che è un’esigenza innata dell’animo umano, e agisce implacabilmente anche sulle menti più raffinate. Anzi, direi soprattutto sulle menti più raffinate. E vengo così al secondo punto, all’idea cioè che il complottismo sia una malattia che aggredisce soltanto le persone rozze e poco inclini alle fatiche del pensiero critico. Ebbene, anche qui, è molto spesso vero il contrario. Per fare un solo esempio, non c’è al mondo fan più sfegatato del pensiero critico di un terrapiattista, il quale per sostenere le sue teorie non esiterà a sciropparsi intere biblioteche di studi scientifici e pseudoscientifici, astrusi calcoli astronomici, assurde ma non per questo meno complicate teorie fisiche alternative. 

Ricordo ancora un convegno di tanti anni fa in cui uno dei maggiori filosofi italiani rievocò, citando Ernst Bloch, un pubblico dibattito avvenuto a Berlino nel 1933 (uno degli ultimi, evidentemente) tra un comunista e un nazista, contrapponendo l’arida razionalità dell’intellettuale marxista che pretendeva di spiegare agli operai la legge della caduta tendenziale del saggio di profitto, lasciandoli molto perplessi, alla capacità del suo avversario di fare appello alle loro passioni più elementari, parlando dell’orgoglio ferito dei tedeschi e della pace punitiva inflitta alla Germania. Fermo restando che i nazisti sono stati indubbiamente tra i più terribili diffusori di falsificazioni e manipolazioni della storia, a nessuno, che io ricordi, venne naturale osservare che la legge della caduta tendenziale del saggio di profitto è a dir poco controversa, mentre la pace punitiva e l’umiliazione della Germania erano un fatto. Come esempio del potere seduttivo dell’irrazionalità dinanzi all’apparente aridità della ragione, se ne poteva certo scegliere uno migliore: ma nessuno ci fece caso, perché irrazionali sono sempre gli altri. E figurarsi se un intellettuale poteva avere dubbi su chi facesse appello alla ragione e chi al pregiudizio, in un dibattito tra un marxista e un nazista. 

In verità, sono pochissime le personalità al vertice del potere politico o economico, dell’accademia, dell’arte o dello sport che non abbiano mai manifestato la convinzione che i fatti essenziali della storia del mondo dipendano dalle macchinazioni di una ristretta cerchia di persone. Che a tirare i fili dietro le quinte sia la lobby gay, come pensano gli oscurantisti, o invece l’Opus Dei, come ripetono gli anticlericali, tutto sommato, non cambia molto. Alla fin fine stiamo sempre parlando dello stesso primordiale bisogno di riordinare il caos e soprattutto l’insopportabile arbitrio del caso nelle nostre vite.

Eccettuati i casi più estremi, la maggior parte dei sospetti sollevati dai complottisti sono del resto non tanto infondati, quanto indimostrabili. Una sfilza di indecidibili interrogativi cui l’unica risposta seria che si possa dare, il più delle volte, è semplicemente: boh. 

Ma in questo il complottista è tragicamente simile a ogni genere di fanatico: tutto può accettare come risposta, tranne il realistico riconoscimento della parzialità delle nostre conoscenze. Che sono tanto incomplete e imperfette da non permetterci di escludere nemmeno che a volte, con una probabilità prossima ma pur sempre superiore allo zero, abbia persino ragione lui.

Per lo stesso motivo, personalmente, non posso escludere che proprio l’esperienza della pandemia, imponendo alla nostra attenzione il peso del caso sulle nostre vite, ma anche quello della razionalità, intesa anzitutto come capacità di prevenire e programmare, produca un effetto contrario a quello da me pronosticato, aprendo la strada a una lunga stagione di governi e movimenti politici fondati sul valore della razionalità e della responsabilità. Teoricamente, è plausibile. Però, siamo seri, voi ci scommettereste?


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