I Meridiani di Mondadori hanno pubblicato, nel 2020, le opere di Rodari, celebrandone il centenario della nascita. È l’occasione per rileggere la fiaba italiana che dal boom economico al 1980, si è rinnovata con il telefono e il frigorifero, seguendo il filo di una ricerca linguistica costante che collocava Le favole italiane raccolte da Calvino, nel vecchiume. Vi abbiamo ricercato pane e panino. Il pane ha un ruolo egemone nel sistema alimentare, e merita una attenzione globale, tanto è vero che nella valigia dell’emigrante troviamo «un vestito, un pane e un frutto, questo è tutto», e in Gelsomino nel paese dei bugiardi, 1958:
S’io facessi il fornaio
vorrei cuocere un pane
così grande da sfamare tutta,
tutta la gente che non ha da mangiare.
Un pane più grande del sole
dorato, profumato
come le viole.
Un pane così
verrebbero a mangiarlo
dall’India e dal Chili
i poveri, i bambini
i vecchietti e gli uccellini.
Sarà una data
da studiare a memoria:
Un giorno senza fame!
Il più bel giorno di tutta la storia
Più complesso è il ruolo del panino. È presente nella vita quotidiana dei lavoratori, anzi designa proprio la disciplina cui sono sottoposti. In C’era due volte il barone Lamberto (1978) : «Io ho lavorato dodici anni in una fabbrica di frigoriferi, ma sempre a pane e mortadella». Stessa cosa, fuori, per la strada, sempre in Lamberto, e per di più nelle vie di una grande città: «I bar, i caffè, i negozi rimangono aperti tutta la notte, perché tanta gente non sa dove andare a dormire e rimane a bighellonare o a bivaccare dove può, bevendo birra e masticando panini».
Con Rodari, siano nel trentennio che precede l’avvento della nuova generazione, borghese, dei paninari che rifondano tutto il sistema di preparazione e di offerta, che lo inseriscono nella comunicazione, dal fumetto alla TV, che si lasciano alle spalle una storia milanese e italiana di emigranti. Prima di loro, dunque un panino che semplicemente sfama o serve ad occupare il tempo, sottospecie del pane, il “grande” pane, ordinario e simbolico.