La fantascienza, con i suoi schemi narrativi, ci ha abituato al concetto di apocalisse. Ma quando toccherà all’Europa, saremo capaci di riconoscerla? Un’anticipazione su come potrebbe presentarsi è disponibile su Netflix, nella serie tv “Tribes of Europa” prodotta da Quirin Berg e Max Wiedemann, noti al pubblico dello streaming per Dark. Siamo nel 2074 e l’Ue è divisa in tribù che lottano per la supremazia territoriale dopo essere sopravvissute al collasso della tecnologia.
L’origine di questo blackout rimane un mistero, perché stavolta la minaccia per i protagonisti arriva dalla realtà: il futuro distopico della serie dipende infatti dalla Brexit, che ha ispirato il regista Philip Koch. «Il referendum del 2016 mi ha sconvolto e volevo raccontarne le conseguenze. – ha dichiarato a Linkiesta – Per spiegare lo spirito europeo ho seguito una strada che ancora nessuno ha percorso. Spesso nei film fantascientifici il nostro continente non esiste più, viene sacrificato nell’ottica di una dimensione panasiatica. Per la sua tradizione, invece, l’Ue merita un posto nel panorama pop».
Europa, 2074
L’introduzione delle tribù viene affidata a Liv, che nei primi minuti del pilot appare come il punto di riferimento della saga, salvo poi scoprire che dovrà condividere la scena con i fratelli Kiano ed Elja. I tre appartengono agli Origini, un popolo pacifista che si tiene lontano dai vizi e dalla tecnologia. Almeno fino allo schianto di un aereo nei loro confini. Il pilota, prima di morire, consegna ai ragazzi un cubo dai poteri straordinari che per nessuna ragione dovrà finire nelle mani sbagliate.
L’evoluzione della storia si fa quindi prevedibile con l’attacco dei Corvi, una tribù di feticisti truccati in stile Mad Max alla ricerca dell’Atlantian Cube. Il motore di “Tribes of Europa” sta proprio in questo dispositivo: riuscire a utilizzarlo può cambiare le sorti del continente e la sua presenza giustifica la comparsa di Moses, che starà al fianco di Elja nella missione. L’evanescenza del finale però lascia intendere che solo una seconda stagione chiarirà se ce l’avranno fatta oppure no.
Una serie tv per spiegare l’antieuropeismo
L’idea di una sceneggiatura che ricorda Game of Thrones, ma con la Brexit sullo sfondo, apre la discussione sui temi dell’attualità. «Il separatismo portato avanti dal Regno Unito, dai Paesi Baschi e dalla Catalogna, unito all’antieuropeismo sostenuto da certa politica di destra, rallenta l’Ue. Spiegarlo con una serie tv risulta forse più immediato e, in tal senso, sono contento di aver fatto la mia parte».
La critica invece non sta accogliendo con entusiasmo questo tentativo di descrizione del presente, tanto da considerarlo poco credibile per le descrizioni kitsch dei personaggi. «Capitan Year e Lord Varvara – continua Koch – condividono elementi dei partiti estremisti e nella tribù dei Corvi ho inserito riferimenti al nazismo. Ma anche ai samurai, per liberare il pubblico dal bisogno di definire a ogni costo un confine tra ciò che è bene e male».
La società dei Corvi rimane quindi controversa: se da una parte incuriosisce perché cavalca l’apocalisse con abitudini sadomasochiste, dall’altra ne viene fatta una caratterizzazione che a tratti è difficile digerire. Di Lord Varvara scopriamo persino le abitudini sessuali e, sebbene non scandalizzi un approfondimento sul Bdsm, alcuni momenti risultano esasperati. Ci piace vederla inseguire i nemici sui tacchi a spillo, ma con gli amanti la dominazione viene spinta fino al ridicolo (si pensi al frame in cui minaccia di tagliare la gola a chi raggiungerà l’orgasmo prima di lei).
Tuttavia il punto più interessante della narrazione viene toccato quando si smaltisce l’eccitazione per i combattimenti e si esplora la natura concettuale del tribalismo: è necessario sacrificare i valori e l’identità per adattarsi a un nuovo ambiente? «L’empatia è la tua morte», si sente dire a Varvara, trovando quasi insopportabile questo consiglio all’individualismo, specie in un momento in cui ognuno fa i conti con il proprio isolamento. Secondo Philip Koch, nel contesto di Tribes of Europa, «la lotta assume un significato positivo, se la si considera un’occasione per rinsaldare il senso di comunità. Oggi sento che ci viene chiesto di stare insieme per evitare proprio quel futuro cupo che emerge dalla serie».
I luoghi di “Tribes of Europa”
L’Europa sta cercando di imporsi nel panorama internazionale della produzione cinematografica, puntando per esempio sullo Studio Barrandov di Praga, dove ha lavorato anche il team di Tribes of Europa. Da qui sono passate, tra le altre, le principali produzioni hollywoodiane ad alto budget come Mission Impossible, Casino Royale e Le cronache di Narnia, per un totale di tremila film cechi e stranieri.
Le location delle riprese, invece, si trovano a Berlino, in Repubblica Ceca e in Croazia. Philip Koch è convinto che si possa prendere una posizione anche con la selezione dei luoghi: alcune scene infatti sono state girate sulla vetta più alta di Petrova Gora, la catena montuosa croata dove si trova il Monumento alla rivolta del popolo di Kordun e Banija. Il sito celebra la resistenza del popolo contro il nazifascismo e ne commemora le vittime.
Su Netflix il futuro dell’Ue è arrivato e non sembra molto tranquillo. Eppure si tratta di una serie post-apocalittica fortemente ottimista. La contraddizione si risolve proprio negli indizi disseminati da Philip Koch all’interno delle puntate che, nonostante l’approccio frettoloso, coinvolgono soprattutto per il design di produzione e i visual effects. «Tribes of Europa dimostra ciò che possiamo diventare quando smettiamo di credere nel progetto comunitario. Guardando al futuro però sono fiducioso, perché abbiamo tutti qualcosa da perdere se molliamo la presa».