Geografia GastronomikaI 10 cibi, ingredienti e piatti da non perdere in Sicilia secondo Ciccio Sultano

Prendiamo appunti per quando si potrà viaggiare. Sale, olio e grano, sfincione, focaccia ragusana e la mitologica Caponata: per conoscere la regione che diede i natali ad Andrea Camilleri abbiamo ingaggiato una guida bi-stellata

Ciccio Sultano ama definirsi “mente pratica”. Davanti alle nuove disposizioni che hanno fortemente colpito la ristorazione, ha deciso di chiudere temporaneamente Duomo Ristorante e di dedicarsi agli altri progetti, tra cui I Banchi e lo shop online lanciato quest’estate. Mente pratica, appunto, che quando gli si chiede come hanno affrontato l’estate, dice: «Abbiamo servito quattromila persone in quattro mesi. Nessuno ha avuto niente. Nessuno di noi ha avuto niente. Rispettando le regole, non c’era niente da temere». Eppure la Sicilia è finita in zona arancione, quindi con ristoranti & co chiusi al servizio e attivi solo all’asporto e al delivery. Non si può viaggiare, naturalmente. Ma un po’ di Sicilia si può portare in casa anche a distanza. Chef Sultano ci racconta gli ingredienti, il mangiare in dialetto (come lo chiama lui, altri lo definirebbero street food) e i piatti alla base della cultura gastronomica di questa regione.

Ingredienti

Si parte dalle basi: sale, olio e grano. «Sono gli elementi che dalla Mesopotamia a oggi hanno creato economia e cucina. Da questi ingredienti si fanno pane e pasta. Più a Nord servono per la pizza. Da noi danno vita a focacce e sfincioni. I grani antichi ora sono di moda, ma quando non erano in commercio, li macinavo in ristorante per trasferire nei miei piatti i sapori arcaici, antichi». Sultano ha dedicato a questa triade un dessert divenuto nella sua forma il logo del Duomo Ristorante.

«Con 25 mila chilometri quadrati è difficile scegliere gli ingredienti più rappresentativi, ma il sale olio e grano sono esempi fortissimi, importanti, caratterizzati da una forza storica». Inoltre, per conoscere davvero la Sicilia, non si può prescindere dalla bottarga di tonno. Sul Ciccio Sultano Shop Online sono in vendita tre versioni: etichetta rossa, blu e gold.

Cibi

«In Sicilia non c’è mai stato l’antipasto. Noi si spizzicunìa con olive verdi cunzate, peperoncino, capperi sott’aceto e sott’olio, pomodorini secchi, carciofini. Oggi la fermentazione va di moda, ma da noi si fa da sempre con olive e capperi. Se ci si pensa, quest’ultimo è un bocciolo di fiore che diventa protagonista nelle insalate. Non c’è credenza di donna, uomo o di famiglia siciliana che non abbia qualcosa da mangiare. Le scorte si creano con il passare delle stagioni, in parallelo con i raccolti».

Tra i cibi che definiscono l’identità gastronomica siciliana, ci sono quelli che Sultano raggruppa nella categoria mangiare in dialetto. «Che non è street food. È un modo di mangiare e di fare da mangiare che ci definisce, perché cambia in base alla zona della Sicilia in cui ci si trova». Del resto sulla faida Arancino/Arancina si sono versati fiumi di inchiostro e passione. Per chef Sultano è impossibile conoscere la regione senza aver mangiato lo Sfincione. Inserito nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (P.A.T.), è un simbolo della cucina palermitana. Il pane pizza, morbido e lievitato, viene cosparso di salsa di pomodoro, cipolla, acciughe, origano e pezzi di caciocavallo ragusano. Dato che il cuoco è «colui che trasforma», Sultano ha dedicato a questa focaccia il suo Baccalà in forma di sfincione, in cui il pesce viene mantecato con gli ingredienti tipici di questo cibo da strada.

Poi c’è la Focaccia ragusana. Questa preparazione ha origini ebraiche: per questo viene preparata senza lievito. Pomodoro, olio ragusano, basilico condiscono i vari strati della focaccia. Una volta condito, ogni strato si ripiega, fino a formare una sorta di lasagna che viene cotta in teglia, infornata a 250 gradi. È uno dei piatti serviti anche a I Banchi, nel cuore di Ragusa.

L’Impanata è un altro lemma del mangiare in dialetto: si tratta di un fazzoletto di pane, pieno di carne, pesce e verdure. «Veniva preparato per il pranzo nei campi, da consumare come colazione o pranzo di lavoro». Tra le reminiscenze gastronomiche che scivolano via dalle tavole dei siciliani c’è u Scannaruzzatu, l’equivalente del Lampredotto toscano. Il quarto stomaco del vitello, simile a una zampogna, viene farcito con pangrattato, formaggio, pepe e cucinato come un arrosto. «Ormai nelle case non si fa più, ma si può trovare nelle bancarelle del mercato di Palermo, dove si cucina il bollito».

I piatti

Ciccio Sultano menziona tre piatti iconici per la cultura gastronomica siciliana: la Pasta alla Norma (di cui ha proposto la sua personale versione nel Pacchero fuori Norma fino alla chiusura temporanea del 1° novembre 2020), la Pasta con le sarde e la Caponata. Quest’ultimo è diventato una rarità, ormai introvabile. «Molti lo vedono come un piatto banale e non lo fanno più». Sullo shop online è in vendita la Caponata secondo Ciccio Sultano: nella descrizione del prodotto si legge «Il nome ha tre possibili origini: da captos – capto, tagliato; da cauponium ossia osteria o da cappon magro, una bruschetta quaresimale». In questo momento si può sempre provare a portare un po’ di Sicilia a casa, in boccaccio, rigorosamente sott’olio.

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