Ci sono almeno due motivi per cui Giuseppe Conte avrebbe dovuto lasciare Palazzo Chigi già da diverso tempo. Il primo è la sua versione dei fatti su quello che accadde ad Alzano e Nembro, giusto all’inizio della prima ondata che ha devastato la Lombardia. Il secondo è la sua ostinazione durante l’intero mese di ottobre – anche in contrasto con diversi ministri – nel non prendere misure restrittive minimamente efficaci per arrestare la seconda ondata, perché a suo giudizio l’opinione pubblica non sarebbe stata pronta.
Un ritardo che è arduo non mettere in correlazione con il fatto che da novembre a oggi abbiamo una media di cinquecento morti al giorno, augurandoci che le 237 vittime di ieri segnino l’inizio della tanto sospirata discesa (tra le molte assurdità a cui ci siamo dovuti abituare c’è anche la necessità di diffidare dei cali improvvisi nei dati del fine settimana). E tutto questo nonostante l’illustrissimo Comitato tecnico-scientifico, da ottobre a oggi, abbia continuato a spiegarci su tutti i giornali e su tutte le televisioni del paese, ogni santo giorno, che le misure prese dal governo stavano funzionando. Sempre. Anche quando le misure della settimana dopo contraddicevano palesemente quelle della settimana prima. E tu pensa se non funzionavano.
In un qualsiasi sistema democratico appena appena decente, queste sarebbero le ragioni della crisi di governo e l’oggetto del dibattito politico: chi porta la maggiore responsabilità di un tale stato di cose e come cambiarlo il più rapidamente possibile (sia il responsabile, sia lo stato di cose). Chi porta la responsabilità di quella ridicola sfilza di Dpcm all’acqua di rose, tanto inefficaci da dover essere cambiati al ritmo di uno a settimana – 13 ottobre, 18 ottobre, 24 ottobre e 3 novembre – per quattro preziosissime settimane, quattro settimane in cui la curva dei contagi si è ovviamente impennata, con le conseguenze che abbiamo ancora oggi sotto gli occhi (considerato che la sigla «Dpcm» sta per «Decreto del presidente del Consiglio dei ministri», io un’idea ce l’avrei, ma mi accontenterei che se ne discutesse).
Chi, in altre parole, porta la responsabilità di avere ignorato o peggio negato quello che tutti sapevano sarebbe potuto accadere con la seconda ondata, e di conseguenza porta anche la maggiore responsabilità della mancata o gravemente insufficiente organizzazione di tutto quello che avrebbe dovuto essere organizzato almeno da maggio 2020, e di cui ancora si discute, a febbraio del 2021.
Per quanto riguarda i sistemi di tracciamento e prevenzione, che avrebbero dovuto costituire la nostra primissima linea di difesa, basta e avanza l’esempio dell’app Immuni. Andate sul sito ufficiale di Immuni e leggete il numero di «utenti positivi» rilevati. Alle cinque del pomeriggio di domenica 31 gennaio 2021 risultano essere la bellezza di 9.866. Avete letto bene: novemilaottocentosessantasei.
Dinanzi alla tremenda sfida della campagna di vaccinazione e delle politiche di rilancio da attivare grazie ai 209 miliardi dei fondi europei, sembrerebbe dunque ragionevole partire da un’elementare operazione verità, che individui quello che non ha funzionato finora, rimuova chi non è stato in grado di farlo funzionare e metta al suo posto qualcun altro.
Non si tratta di rivangare il passato, né di fare polemiche su questo o quell’episodio. Si tratta di riconoscere l’esistenza di un gigantesco circolo vizioso, dentro il quale continuiamo a correre da un anno come criceti impazziti, senza fare un passo avanti. Non c’è nemmeno bisogno di addentrarsi nei costi dei padiglioni a forma di primula per le vaccinazioni, che sono evidentemente l’esatto equivalente dei banchi a rotelle per le scuole.
Se anche costassero 20 euro l’uno, non sarebbe più ragionevole e più pratico dare quei 20 euro ai proprietari di teatri, cinema, sale da ballo, discoteche e ogni altro genere di locale disponibile, e vaccinare la gente lì dentro? Non temete anche voi che quando in Europa si sentiranno descrivere nei dettagli le meraviglie della nostra strategia – milioni di cittadini che corrono a vaccinarsi in monopattino, dentro accoglienti hangar viola a forma di primula, con migliaia di navigator a dirigere il traffico – penseranno che meno soldi ci danno e meglio è per tutti? E non credete dunque che sarebbe meglio correggere la rotta noi stessi, il prima possibile?
Ecco quale dovrebbe essere l’oggetto del dibattito. Ma non lo è, se non in modo tangenziale e strumentale, confuso e ondivago, perché tale angoscioso stato di cose è il frutto di una somma di interessi e inadeguatezze perfettamente trasversali. È il vero modello italiano, che accomuna maggioranza e opposizione, renziani e antirenziani, governo centrale e regioni: un continuo scaricabarile da parte di tutti i politici, gli amministratori e i tecnici coinvolti, che dimostrano di condividere lo stesso approccio avvocatesco alla pandemia. L’idea cioè che in fondo anche il Covid, come la legge, si debba applicare per i nemici e interpretare per gli amici. Nessuno può chiedere coerenza e verità, perché ciascuno ha cercato sempre e solo di tirare la coperta del virus e delle restrizioni dove gli faceva più comodo.
L’unico modo razionale di uscirne, di conseguenza, sarebbe un generale reset della lotta politica attorno al Covid, con un governo di tregua, accompagnato da un approccio parlamentarista e proporzionalista (peraltro in linea con le dichiarate intenzioni sulla legge elettorale) che tolga le questioni vitali, a cominciare dal Recovery Plan, dal terreno della contesa tra gli schieramenti. Un governo di tregua e una commissione bicamerale – o qualunque altro strumento di larga convergenza parlamentare si voglia adottare – per definire la strategia di lungo termine contro il virus e per la ripresa, che passi anche da un radicale cambiamento di uomini e modi di operare in tutte le strutture commissariali e tecnico-scientifiche. Linee di confine chiare, con politici che fanno politica e tecnici che pensano alle questioni tecniche, e non viceversa. Per avere finalmente un governo con le rotelle a posto.
È molto improbabile che lo otteniamo, lo so anche io, e dunque andremo avanti così, da un Dpcm all’altro, con il rischio che le nuove varianti del virus travolgano un sistema privo di qualunque difesa. Ma è semplicemente incredibile che continuiamo a parlare d’altro.