Geopolitica dei viaggiCosa fare per riportare i turisti in Italia nell’epoca post-Covid

I crolli degli incassi dovuti alla pandemia hanno scoperchiato un problema che si trascina da tempo. Al Paese serve una nuova marcia: deve rinnovare il suo patrimonio immobiliare, sviluppare la logistica e riprendere il controllo delle strutture digitali che governano il mercato dei servizi

di Hao Zhang, da Unsplash

A che punto è la notte del turismo? Sappiamo che un’alba ci sarà. Lo sappiamo, eppure non ci basta, perché dobbiamo capire come ci troverà, o meglio come ci dovrà trovare. Prima però cominciamo ad afferrare la notte. I numeri del 2020 ci aiutano a capire.

Il turismo ufficiale, quello di cui sono registrati i dati (perché sul resto, seppur molto rilevante, qui non possiamo dire niente), ci dice che da gennaio a ottobre c’è stata una caduta del 52% delle presenze turistiche. È un dato che non dice tutta la verità, perché comprende gennaio (che aveva registrato un +3% rispetto al 2019) e febbraio, ancora senza l’impatto del lockdown. Il crollo comincia a marzo (-82,4%), tocca la punta peggiore ad aprile (- 95,4%), rimanendo su questi livelli nelle settimane fino a giugno. Con l’estate le cose migliorano, tanto che ad agosto il calo è del 26,1%, ma già a settembre si torna a scendere (-58,6%), e le cose vanno ancora peggio a dicembre.

Per di più, sono dati medi e non rispecchiano le enormi differenze interne.

Per capire meglio, guardiamo al turismo come all’insieme di quattro mercati principali: il popolo delle ferie (insomma il turismo delle famiglie italiane ad agosto); il turismo dei week-end; i viaggi di lavoro e poi il turismo internazionale. Quest’ultimo rappresenta metà del mercato e registra il -73,3%, dopo che aveva raggiunto il -98,2%. Questo mercato è scomparso ed è anche quello più complicato da riprendere.

Il mercato delle ferie è quello che ha resistito meglio, perdendo circa un terzo del totale, mentre gli altri due segmenti, quello dei weekend e quello dei viaggi di lavoro, sostituiti dalle video-call, hanno perso oltre la metà delle presenze.

Proiettando sulle singole destinazioni, si vede che il crollo maggiore è nelle (ex) superstar del turismo: Roma, Firenze e Venezia. Solo per citare Roma, registriamo per quasi tutti i mesi una caduta di oltre il 90% e persino ad agosto, dove teoricamente tutto il Paese era frequentabile, ha avuto un -84,0%.

Questo riguarda la parte alberghiera, perché gli affitti brevi sono scesi di più, con gli alberghi più affidabili degli appartamenti: nel dicembre 2019 a Roma c’erano 18 milioni al giorno di incassi dagli affitti brevi; ad agosto, il mese migliore da quando è scoppiata la pandemia, gli incassi sono stati di 2 milioni.

Questa è stata la notte. Adesso veniamo al profilo dell’alba. Diciamolo subito, e senza baloccamenti, che la prima misura di promozione turistica è la vaccinazione di massa. Il turismo è asimmetrico: nessuna bellezza dell’arte, della storia e della natura è più forte della paura del contagio.

Mentre scriviamo, l’unico paese che ha fatto la vaccinazione di massa è Israele. In Inghilterra siamo al 18,4% della popolazione e negli Stati Uniti al 12,3%. A noi interessa molto la Germania, in primis, e poi Francia e Spagna: dovunque la percentuale di vaccinati è ancora inferiore al 5%.

Le previsioni, anzi il commitment europeo, è di completare la vaccinazione della popolazione entro il 2021, ma entro l’estate dovremmo arrivare al 70% della popolazione. I vaccinati cresceranno in maniera esponenziale, perciò possiamo pensare a un anno di progressiva apertura; le potenzialità però si esprimeranno nel 2022. Avremo in sostanza un downgrading del mercato per ancora molti mesi.

Questa riduzione non avrà impatto solo sul turismo (o meglio sull’industria dell’ospitalità) ma sull’intera economia. Se il turismo pesa per il 5,9% del Pil, è ancora più significativo per le interdipendenze con gli altri settori: il 56,4% del business ferroviario viene dal turismo; così anche il 34,4% dei trasporti su mare; il 90% dal trasporto aereo e il 6,1 % del commercio al dettaglio. In sostanza, il turismo è addirittura più importante per le sue conseguenze sul resto dell’economia, che per le sorti sue proprie.

Allo stesso tempo, quello che succede nel turismo dipende da molti fattori esterni: della vaccinazione si è detto, ma molto dipende dalla logistica. Opere come l’Alta Velocità al Sud e lungo l’Adriatico, lo sviluppo dei porti (ah, come sarebbe promettente sviluppare il mondo crocieristico nel nostro Mediterraneo!), degli aeroporti e dei loro collegamenti con le altre reti del trasporto, oggi sono strategici.

Queste opere sono in buona parte già presenti nelle bozze del PNRR, perciò nella stesura finale si tratta di strutturarle, completarle e realizzarle con i tempi previsti dalle direttive europee. Bisogna incidere sulla distanza tra share of dream (quanti vorrebbero l’Italia) e share of market (quanti effettivamente comprano Italia): l’attrazione è il movente, ma si fa mercato con la logistica.

C’è una geopolitica del turismo che va considerata nel suo complesso. L’industria dell’ospitalità ambiziosa che l’Italia vuole avere, con addirittura il primato mondiale (eravamo primi, perciò questo pensiero non ci è estraneo), non può non avere una infrastrutturazione adeguata che permetta di realizzarla.

In questa ambizione un gioco centrale lo svolge l’infrastrutturazione digitale. Il digitale è l’informazione dentro una struttura molto corposa e molto fisica: pensiamo sempre all’informazione come flatus voci, ma l’informazione è dentro contenitori strutturati, non neutrali, che determinano il successo delle destinazioni turistiche. Chi controlla l’informazione controlla il mercato. E oggi gran parte dell’informazione turistica è nei circuiti digitali.

La conseguenza? basti dire che il 18-20% dell’intero fatturato dell’industria italiana dell’ospitalità (del fatturato, non del profitto!) rimane ai player digitali che controllano le prenotazioni. Questo nodo va sciolto in qualche modo, o meglio con una strategia che ne preveda l’emancipazione. Se la situazione dovesse ripercorrere esattamente quella precedente all’epidemia, la nostra industria dell’ospitalità finirebbe con il diventare l’erogatrice di servizi il cui valore aggiunto andrebbe ai soggetti che controllano il mercato, e non a chi produce i servizi. Not very fair.

Torniamo però all’industria dell’ospitalità in senso stretto. Avremo un mercato con numeri minori, ma più competitivo. I numeri saranno più piccoli per tutti, ma in questi anni l’offerta turistica mondiale è andata crescendo, perciò molte destinazioni saranno fuori mercato.

Da noi abbiamo l’imperativo di salvare le imprese, che non andranno salvate solo dalla congiuntura, ma avranno bisogno di programmi di investimento da finanziare sulla base di 15/20 anni, perché dovranno portare a una nuova concezione dell’offerta alberghiera: camere più grandi (per ragioni che qui non c’è modo di spiegare); ristrutturazione delle sale congressuali; ingresso impetuoso delle tecnologie digitali e l’impiego dei nuovi materiali per una migliore qualità ambientale.

Tutte spese che bisogna fare adesso perché il giorno nuovo le richiederà, ma che nessuno può pensare di pagare con il credito bancario a 3 o 5 anni. Bisogna pensare in termini di innovazione finanziaria in un settore debole proprio sul piano della finanza e della patrimonializzazione delle aziende.

In questo quadro va pensata una grande operazione di rinnovamento immobiliare. Abbiamo strutture invecchiate; abbiamo una normativa che pesa in maniera impressionante sugli immobili adibiti all’ospitalità per i dettagli in cui entra e per gli adempimenti che prescrive; c’è una complessità legislativa che frena ogni volontà di investire; ci sono migliaia di alberghi balneari inadeguati, ancora senza impianti di aria condizionata.

Basterà per questo estendere il bonus delle abitazioni anche alle strutture alberghiere. Non possiamo pensare che la qualità dell’ospitalità possa essere più bassa della qualità delle abitazioni. Se immaginiamo l’esperienza di un ospite come la collezione e la successione di momenti significativi (il museo da visitare, la camera d’albergo dove dormire, il taxi da prendere, la cena da gustare), allora dovremo avere standard d’eccellenza per ognuno di questi momenti.

Il profilo del giorno nuovo giorno dell’ospitalità italiana ha questi tratti, questi impegni e queste ambizioni. La notte non ha cancellato nulla delle ragioni che rendono l’Italia attraente, ma ha cambiato le condizioni attraverso cui l’attrazione può vincere nuovamente.

Abbiamo sempre lo stesso rassicurante profilo dei nostri campanili, ma il mondo e il modo entro cui quei profili saranno visti sarà sfidante per tutti. Soprattutto per chi vorrà avere ambizioni di primazia. Bisogna immaginarci così.

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