TechetèLa telecucina di una volta

La prima trasmissione televisiva enogastronomica era fondata su una grande regola: meglio abbondare! Con questa formula, Luigi Veronelli, Ave Ninchi e i loro concorrenti riuscivano sempre a far venire l’acquolina in bocca ai propri spettatori, nonostante il bianco e nero

La prima e vera trasmissione di cucina in Tv è stata senza dubbio “Colazione allo studio 7”, condotta dal più importante giornalista enogastronomico di sempre, Luigi Veronelli e da una nota soubrette dell’epoca, Delia Scala. Andò in onda per la prima volta nel 1971 e poi, dal 1973/74 al 1976, quando la trasmissione diventò “A tavola alle 7” e venne spostata in orario serale, ottenendo un notevolissimo successo di pubblico.

A condurla resta Luigi Veronelli, affiancato a questo punto da una famosa attrice di teatro, Ave Ninchi, simpatica, verace e bravissima, che in verità di cucina non sapeva assolutamente nulla, ma dal punto di vista iconografico rappresentava idealmente la perfetta donna di cucina, fisicamente, linguisticamente e anche grazie alle sue indubbie doti recitative perché, allora come oggi, si trattava di recitare un ruolo.

Quello di Veronelli era ovviamente quello del grande esperto, del divulgatore, spesso accademico, anche perché i tempi televisivi di allora erano decisamente più lenti degli attuali, la televisione pubblica svolgeva davvero un ruolo pedagogico, informativo, culturale e in A tavola alle 7, oltre a nozioni di enogastronomia, venivano date anche lezioni di geografia, storia e letteratura.

Tutto, naturalmente, in bianco e nero, tutto girato in studio e proprio per questo si può definire la prima trasmissione di telecucina!

“Inserti” di cucina si potevano già seguire all’interno di programmi di genere “agroalimentare”, nei notiziari dell’epoca, seguendo dei docufilm, il più importante e famoso dei quali, “Viaggio nella Valle del Po” di Mario Soldati, famoso scrittore, sceneggiatore, giornalista e regista.

La trasmissione era una vera e propria gara di cucina in diretta tra regioni, per ognuna delle quali si presentava un cuoco, o cuoca, un ristoratore, o un semplice appassionato di cucina. Costoro presentavano le loro specialità locali e, mentre preparavano le ricette, si  susseguivano interviste a ospiti del settore, rubriche sul vino, racconti del territorio. La gara era a eliminatorie, i concorrenti, due per puntata, lavoravano in due cucine separate, con due stazioni di lavorazione dotate degli elementi fondamentali: fornelli, forno, lavandino, piano di lavoro e così via.  Era tutto molto genuino, molto divertente ed oggi sarebbe difficile dire se fosse tutto ben sceneggiato o improvvisato con spontaneità.

Uno degli elementi più peculiari, soprattutto se messo a confronto con gli attuali programmi di cucina, è legata alla presentazione dei piatti: la questione estetica allora sembrava assolutamente insignificante e le porzioni rispondevano ancora all’idea di una Italia perennemente affamata.

Allo stesso modo, se riguardassimo oggi A Tavola alle 7, ci stupiremmo dei tempi ben poco televisivi, dell’assenza completa di qualsivoglia interruzione pubblicitaria, o di inserti a fini commerciali, e, soprattutto, della rappresentazione del lavoro di cucina, del lavoro del cuoco.

In una delle puntate della seconda stagione, mentre si scontravano L’Emilia Romagna e il Friuli Venezia Giulia – il risultato, per i parametri dell’epoca, era a dir poco scontato visto l’amore nazionale per i primi piatti e la pasta fresca – Luigi Veronelli chiese alla “sfoglina” che stava preparando i tortellini, lasagne e tagliatelle: «Signora, Lei come fa ad essere cosi brava?»

E la Signora: « Mi alzo presto la mattina».

I tempi erano proprio diversi, anche fuori dalla televisione.

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