Luigi Di Maio è l’evergreen della legislatura. Ministro per la terza volta: prima nella maggioranza gialloverde, poi in quella giallorossa, ora nelle larghe intese di Draghi. Mutamenti che seguono di pari passo quelli del Movimento Cinque Stelle, lacerato da fuoriuscite e divisioni.
Il Movimento «è cresciuto, maturato», assicura Di Maio a Repubblica. «Questo governo rappresenta il punto di arrivo di un’evoluzione in cui i Cinque Stelle mantengono i propri valori, ma scelgono di essere finalmente e completamente una forza moderata, liberale, attenta alle imprese, ai diritti, e che incentra la sua missione sull’ecologia. Tutta la trattativa con il premier Draghi è stata fatta sul ministero per la Transizione. Questo per noi è un nuovo inizio».
Un nuovo inizio che però li ha spaccati in due. «Molti pensavano che la nostra base non avrebbe capito, ma il 60% ha votato sì a un esecutivo che nessuno si aspettava», spiega il ministro degli Esteri. «Penso che l’esperienza di governo abbia portato a un’evoluzione dei Cinque Stelle, oggi completa. Lo dico con profondo rammarico e con grande tristezza, ma credo che le defezioni che abbiamo vissuto in questi giorni non potessero che andare così».
«Non deve considerarsi una scissione», precisa Di Maio, «ma è evidente che lo spazio per i nostalgici dell’Italexit è scomparso da tempo. Puntiamo agli Stati Uniti d’Europa, a un progetto ancorato a determinati valori in cui gran parte del M5S e degli italiani si riconoscono».
Quanto all’alleanza con Pd e LeU e alla formazione dell’intergruppo, che ha creato tanti malumori, dice: «Non credo sia in pericolo il patto con Pd e LeU. Abbiamo davanti le amministrative. Mettiamo tra parentesi Roma, perché il mio e nostro sostegno a Virginia Raggi non è negoziabile. Ho proposto l’idea di un tavolo comune sei mesi fa, facciamolo. Ricordo che tutto è nato dal mio progetto su Pomigliano, poi convertito in un quesito su Rousseau e sostenuto dagli iscritti. Sono uno di quelli che ci crede, ma ci devono credere tutti».
E poi arriva anche l’invito all’ex premier Giuseppe Conte: «Sarei veramente felice di un passo avanti di Conte dentro il M5S. Quando sono stato eletto capo politico nel 2017 avevo un obiettivo: portare i Cinque stelle fuori dalle ambiguità. Sono stato il primo a dire che non dovevamo più parlare di uscita dall’euro, che bisognava smettere di fare leggi che burocratizzavano il Paese. Ho detto al Financial Times che la Nato non andava abolita e che non dovevamo uscirne. Era il 2015, ricorda cosa eravamo allora?».
Il Movimento ora, aggiunge, è invece «su una linea moderata, atlantista, saldamente all’interno dell’Ue. Questa evoluzione si può completare con l’ingresso di Conte. L’ex premier, che ha rappresentato questi valori, metta la parola fine alle nostre ambiguità e ai nostri bizantinismi». A partire dall’«assemblearismo estremo» che «finisce solo per dare un’immagine di caos. Se si sta parlando di far entrare Conte, significa che a un anno da quando ne ho lasciato la guida il Movimento ha realizzato che senza una leadership forte non si va da nessuna parte».
Per Conte nel Movimento una carica si troverà certamente, assicura. Mentre con Alessandro Di Battista «ci continuiamo a parlare», dice. «È stato un dolore vederlo lasciare di nuovo il Movimento, ma ho imparato in questi anni a dividere l’amicizia dalla politica. Con Alessandro ho un legame indissolubile, abbiamo subìto gli stessi attacchi, diviso gli stessi palchi. Doveva andare così, anche se fino alla fine ho sperato il contrario».