Effetto DraghiI partiti stanno cambiando in meglio e potrebbe anche nascere un polo riformista

La nomina dell’ex presidente della Bce sta stravolgendo linea politica e posizioni radicate di Lega e Pd, Cinquestelle e movimenti liberal-democratici. E ancora il governo non è nato

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L’effetto Draghi è destinato a stravolgere l’assetto politico e le fisionomie dei singoli partiti. Lo stiamo già vedendo in questi giorni: i cambiamenti di Movimento 5 Stelle e Lega e la spaccatura della destra ne sono le avvisaglie, e il governo non si è ancora formato, figurarsi quando girerà a pieno ritmo.

Sulla base di ciò che sta avvenendo si possono ipotizzare scenari del tutto nuovi. A destra, la mutazione della Lega da partito sovranista di destra a soggetto portatore di istanze produttivistiche soprattutto del Nord in un quadro di piena accettazione delle regole europee e della moneta unica è, o meglio: potrebbe essere, senz’altro la novità più inaspettata. Una svolta di questa portata certo avrebbe bisogno di una sua solennizzazione, di una Fiuggi leghista magari da tenersi più in una stazione termale del Nord, e forse anche di una formalizzazione della nuova leadership, da Matteo Salvini a Giancarlo Giorgetti (probabile ministro del Draghi I).

Sicuramente non ci sarà solennità, nella svolta giorgettiana, dato che comunque la Lega è abituata a svolte anche profonde senza un adeguamento del suo pensiero e a non mettere in discussione coerenze consolidate, basti guardare a come Borghi e Bagnai si sono trasformati in solidi europeisti nel giro di 24 ore. Se l’evoluzione anti sovranista della Lega andrà avanti, questo lascerebbe spazio a Giorgia Meloni. Ma non è detto che la sua sarebbe una posizione comoda: nel caso in cui il governo Draghi dovesse davvero cogliere gli obiettivi fondamentali della vaccinazione degli italiani e dell’accesso alle risorse del Recovery plan, Fratelli d’Italia potrebbe diventare una ridotta estremistica di pura testimonianza venata di nostalgia. 

Al centro potrebbe, e dovrebbe, nascere qualcosa che finora non c’era. Dopo tanto girovagare fra terzi poli e grandi centri, è un fatto che l’operazione-Draghi, aprendo la strada a una possibilità nuova, veda fra i più entusiasti i riformisti di Italia viva (ieri dopo le consultazioni Matteo Renzi si è totalmente affidato al presidente incaricato), +Europa di Emma Bonino e Azione di Carlo Calenda  a cui vanno aggiunti i parlamentari “responsabili alla Bruno Tabacci che dopo il fallito salvataggio di Giuseppe Conte adesso troveranno riparo sotto l’ala di SuperMario. E, sempre in questa zona centrale della politica, bisogna adesso annoverare una Forza Italia smarcatasi dai sovranisti e ormai politicamente molto sensibili al riformismo di Mara Carfagna, portavoce di una generazione diversa da quella storica ma che ha alle spalle il placet di Silvio Berlusconi.

Questo centro riformista, nemmeno tanto esiguo, può diventare un polmone parlamentare dell’azione di governo di Mario Draghi, cioè di un riformista attento certamente agli equilibri del sistema ma altrettanto sensibile alle istanze etiche nell’agire economico.

Vale la pena rileggere un importante articolo dell’allora Governatore della Banca d’Italia per l’Osservatore Romano: «Negli ultimi decenni l’espulsione dell’etica dal campo d’indagine della scienza economica è stata messa in discussione, perché ha generato un modello incapace di dar conto compiutamente degli atti umani in ambito economico e di spiegare l’esistenza delle istituzioni rilevanti per il mercato solo come risultato della mera interazione di agenti razionali ed egoisti».

E a sostegno di questa tesi Draghi aggiungeva: «È una critica avanzata fra gli altri da Amartya Sen, che analizza gli effetti delle considerazioni di natura etica sui comportamenti economici, e da Akerlof, che sottolinea l’importanza delle valutazioni di equità nella determinazione dei salari» (George Akerlof, grande economista, è fra l’altro il marito di Yanet Ellen, segretaria al Tesoro degli Stati Uniti- ndr).

Questo centro riformista che si sente molto draghiano potrebbe giocare un ruolo decisivo non solo nel sostegno parlamentare al nuovo governo ma anche godere di una postazione strategica nella partita del Quirinale: qualunque accordo passerà per i gruppi riformisti e anzi a questo punto è tutt’altro da escludere che il successore di Sergio Mattarella verrà indicato proprio da questo settore del Parlamento.

Invece quello che succederà a sinistra è difficile a prevedersi. Diciamo che il rinsaldarsi dell’asse Pd-M5S come risposta alla rottura di Renzi lascia apertissima l’ipotesi di una inedita sinistra gauchista su posizioni più radicali, anche se non è chiara la direzione di marcia dei grillini, o meglio, di quella parte contian-dimaiana che forse si prepara a diventare una specie di Podemos un po’ verde un po’ populista.

Il Pd, se davvero venisse risucchiato in una logica frontista soprattutto in chiave elettorale (il voto nelle grandi città e sullo sfondo le politiche) potrebbe commettere l’errore di rinchiudersi entro vecchi steccati e di perdere appeal da parte di una società ansiosa di risposte più che di testimonianze. Ma il confronto interno al partito non è neppure cominciato ed è dunque troppo presto per capire se prevarrà la sinistra di matrice socialista o la parte più legata al riformismo di Base riformista e di vari sindaci e presidenti di Regione.

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