A 700 anni dalla morte, avvenuta a Ravenna nel 1321, Dante rimane in assoluto il più grande poeta italiano. Con la sua Commedia, poi diventata Divina ha fondato la lingua italiana. È stato un genio capace di raccontare in rima e in ordine tutto l’animo umano e tutta la cultura e la storia del suo tempo.
Dentro la Divina Commedia c’è tutto: tutte le passioni e i sentimenti, tutte le paure e le contraddizioni umane; il racconto delle vicende di personaggi come Ulisse o Francesca sono sublimi e per tutti noi indimenticabili. Francesca è un’adultera o una donna romantica, 500 anni prima del Romanticismo, che vuole amare ed essere libera? Ulisse è un pazzo spavaldo o il primo degli umanisti?
C’è la filosofia da Platone e Aristotele e fino alla teologia di Tommaso, c’è la storia, la politica, la cultura classica, le cronache della sua epoca. C’è la bellezza. C’è una luce divina alla fine, un riscatto. Anche per chi non è credente c’è una guida verso l’alto. Ma la questione gastronomica è decisamente trascurata. La cultura medioevale considera la gola come un vero e grave peccato: nell’Inferno i golosi stanno nel terzo cerchio, nel sesto canto Dante li racconta immersi in un fango gelido di pioggia battente e nevischio, azzannati dal cane a tre teste, Cerbero. In fondo in questo canto del peccato di gola non si parla affatto.
Nel Purgatorio, nella sesta cornice, i peccatori di gola patiscono gravemente la fame e la sete. Viene in mente l’immagine di un campo di concentramento e dei suoi sopravvissuti. All’ingresso del Purgatorio ci sono due alberi di frutta e un ruscello di acqua sorgiva e in questa cornice Dante racconta con un tono quasi comico il vizio di Papa Martino IV, originario di Tours, in Francia. Il Pontefice amava passare molte giornate a Bolsena, in riva al lago, a fare scorpacciate di anguille, innaffiate di Vernaccia: “e quella faccia dilà da lui che l’altre trapunta, ebbe la Santa Chiesa in su le braccia, dal Torso fu, e purga per digiuno, l’anguille di Bolsena e la Vernaccia”.
In Paradiso il banchetto è apprezzato ma il cibo è sostanzialmente una metafora. È citato un pane degli angeli; il valore simbolico del pane, nella cultura cristiana, è potente. Il poeta intende il nutrimento dell’anima. Io lo immagino come un pane bianco e dolce.
E poiché Dante non si perde in dettagli vi scrivo e allego la ricetta.
350 g di latte
15 g di lievito di birra
100 g di zucchero
100 g di burro
1 tuorlo d’uovo + 50 g di latte (facoltativo)