Tra le tante sfide che attendono Mario Draghi e il suo esecutivo (che sarà molto più politico di quanto si pensi), c’è quella – centrale – della comunicazione. Non si tratta di fare raffronti con le logiche disintermediate dei governi Conte (I e soprattutto II), ma proprio dell’interpretazione autentica del senso istituzionale del messaggio da rivolgere all’opinione pubblica.
Per una figura che ha dalla sua autorevolezza ed esperienza, sarebbe gioco facile pensare a uno stile che unisca sobrietà e trasparenza, senza l’eccessivo ricorso ai social network o alle ospitate tv. Ma il momento storico imporrà al nuovo presidente del Consiglio un carico di lavoro ulteriore, quello di veicolare progetti e decisioni in prima persona. Come? Ossimoricamente apparendo il meno possibile e lasciando parlare i fatti, ovvero mettendo la firma (tanto visibile quanto lui sarà invisibile) sugli atti che consentiranno al Paese di ripartire durante e dopo la pandemia.
Mario Draghi sarà dunque il miglior portavoce del suo governo perché darà la linea seguendo quello che è sempre stato il suo modo di agire, in ultimo a Francoforte, con disponibilità al confronto mediatico, ma solo nelle sedi opportune, attraverso briefing puntuali, rigorosi e semplici anche nella comprensione per il pubblico più ampio.
La struttura che lo sorreggerà sarà istituzionale nei modi e nei toni, ma “guerriera” nell’intensità e nella traduzione delle carte in una linguistica accessibile. Per un Paese abituato a contorsioni lessicali e cambi repentini di umore mediatico, anche questo potrà rappresentare un elemento rassicurante, la chiusura dello spread tra il Palazzo e l’opinione pubblica.
Il coordinamento delle voci ministeriali sarà un’esigenza primaria per evitare che il direttore d’orchestra non debba inseguire i solisti nelle loro intemerate interpretazioni dello spartito e non sarà impresa semplice per lo staff del neo inquilino di palazzo Chigi. Una volta stabilite le regole del gioco, andranno indicate le priorità con tempistiche chiare, anche per non farsi invischiare nella pagella dei 100 giorni che tanto piace agli editorialisti con il pennino avvelenato.
Alla luna di miele che verrà evocata nelle prime settimane meglio opporre fin da subito la scaletta della to do list, il vero crono programma di governo, quello da affiggere sulla bacheca-Paese senza cedere ad aggettivi o ultimatum. Serenità e consapevolezza dovranno essere i messaggi chiave per avere dalla propria parte non solo le forze di maggioranza del momento, ma la maggioranza della forza di chi il Paese lo vive tutti i giorni, nell’impresa, nel lavoro e nell’impegno sociale.
Troppo ottimismo? Forse, anche perché le tensioni dentro alla matrioska Ursula non saranno di poco conto e la pazienza del Paese è ai livelli di guardia. Di certo, non poteva esserci strappo più forte di quello che si fa strada in queste ore, anche sul piano dell’immagine. Al netto della rincorsa al carro del vincitore, sport nazionale che ci vedrebbe primeggiare alle Olimpiadi della politica, ciò che affascina tecnicamente del costruendo governo Draghi è l’opportunità di veder convivere il dinamismo della politica con la serietà del messaggio istituzionale, in un intreccio virtuoso che guardi al consenso in chiave partecipativa o comunque non belligerante. E anche a questo ha sicuramente pensato il Capo dello Stato quando ha alzato il telefono chiedendo alla Batteria di metterlo in contatto con il dottor Draghi.