Effetto Covid ll virus ha accelerato la trasformazione digitale più di quanto abbiano fatto spese e regole

In pochi mesi la pandemia ha trainato e differenziato i servizi online, che hanno dovuto far fronte a una crescente domanda causata dai cambiamenti nelle abitudini quotidiane. Con i 46 miliardi in arrivo per la digitalizzazione, la posta in palio è alta: nessuno ha più da guadagnare (o da perdere) dell’Italia

Nasa - Unsplash

Nel 2000 l’Unione Europea ha adottato la Direttiva sul Commercio elettronico, con la fiducia che trainasse una stagione di investimenti nel digitale. A testimonianza dell’expertise tecnologica globale, quello stesso anno era stato inaugurato con un grottesco allarme: il Millennium Bug. Nel mondo furono stanziati oltre 300 miliardi per mettersi al riparo da un crash informatico che, alla mezzanotte del capodanno 2000, avrebbe potuto impostare i computer all’anno 1900.

Il premier Massimo D’Alema mobilitò addirittura una task force per affrontare l’eventuale problema. Col senno di poi, gli sforzi informatici furono più che sufficienti e il catastrofismo si rivelò sproporzionato.

Con questo misto di frenesia e sospetto, l’Europa iniziò ad occuparsi seriamente di innovazione digitale. Nel 2000 il bilancio degli Stati membri aveva destinato l’1,7% del suo Pil in Ricerca & Sviluppo, quasi il doppio della Cina (0,9%). Da quel momento gli investimenti cinesi – a differenza dei nostri – sono stati inarrestabili. Pechino ha concluso il suo sorpasso, mai più recuperato, quasi un decennio fa.Così, mentre Stati Uniti e Cina si contendono la leadership tecnologica, per vent’anni l’Europa ha speso (relativamente) poco e lentamente. Entro il 2020 il continente si era impegnato a destinare il 3% del Pil in R&S. Il target, particolarmente ambizioso, è rimasto disatteso di quasi un punto percentuale. 

È servita la pandemia a rimarcare l’opportunità economica della trasformazione digitale. Dato il lockdown generalizzato, l’aumento del traffico online e del numero di utenti connessi non sorprende affatto.

L’aspetto più formidabile è stato, piuttosto, la velocità con cui è avvenuto questo aumento. In pochi mesi il Covid-19 ha differenziato i servizi online e trainato l’adozione digitale più di vent’anni di spese e regolamenti. Secondo un report di We Are Social, sono oltre un milione gli italiani che si sono connessi ad internet per la prima volta nel corso del 2020. A confronto, i nuovi connessi del 2019 erano stati meno di un terzo.

Anche i consumi si sono trasferiti sul web, come emerge inequivocabilmente dai dati di Google Trends. Da marzo 2020, secondo il colosso tecnologico, l’interesse di ricerca per gli acquisti online è aumentato del 100% in tutto il mondo. Solo in Italia, nei primi cinque mesi del 2020, i nuovi consumatori online sono triplicati rispetto all’anno precedente. Molte imprese si sono riorganizzate di conseguenza – aprendo siti web, investendo in pubblicità sui social o affidandosi a piattaforme web per la consegna. 

A digitalizzarsi non è stato solo il commercio al dettaglio. Gli italiani si sono rivolti ad internet per frequentare, tra le altre, lezioni di inglese e “palestre” virtuali (+29% nel primo lockdown, secondo BookyWay) con una conseguente proliferazione dei servizi online. Il Consorzio Netcomm ha tirato le somme: in un solo mese dall’inizio della crisi sanitaria, l’Italia ha registrato un salto evolutivo verso il digitale di dieci anni.

L’arrivo del Covid-19 apre quindi una preziosa finestra di opportunità per la trasformazione tecnologica, che passa da nuovi investimenti e nuove regole. Next Generation EU, ad esempio, è il più audace piano di stimoli mai discusso a livello paneuropeo. Almeno il 20% del pacchetto è stato destinato al settore digitale – questo significa una spesa di 150 miliardi di euro, di cui quasi un terzo assegnati all’Italia. C’è poi Horizon Europe, la piattaforma chiave dell’Unione europea per gli investimenti in Ricerca & Sviluppo, che dal 2021 sostituirà e potenzierà la “vecchia” Horizon 2020.

Aumentare gli investimenti in innovazione digitale è un’ottima idea, ma da sola non basta. Gli ultimi due decenni di regolamentazioni si sono focalizzati su mantenere i prezzi bassi e vicini al costo marginale di produzione. Questo approccio prezzo-centrico è spesso insostenibile nei mercati altamente tecnologici, dove le aziende affrontano enormi spese in Ricerca & Sviluppo e la produzione ha costi marginali tendenzialmente bassi. In tutto il continente permane un’asimmetria di regolamentazione in termini di sicurezza, privacy, fisco – in altre parole, di competitività.

Le nuove leggi europee sui mercati e servizi digitali sono la prima grande revisione delle regole di Internet da due decenni. Le leggi ridefiniranno, rispettivamente, le pratiche concorrenziali e le responsabilità di grandi e piccoli operatori digitali.

Puntare sulla trasformazione digitale è particolarmente decisivo per l’Italia. Complice la frammentazione del tessuto produttivo e la scarsa digitalizzazione delle PMI, dal 1995 la crescita annua della produttività in Italia è di appena 0,3% (contro la media UE dell’1,6%). Prima della pandemia solo il 10% delle piccole e medie imprese italiane vendeva online, posizionandosi tra i fanalini di coda nel continente.

C’è poi il capitale umano, un nodo ancora più allarmante. Secondo il Digital Economy and Society Index, gli italiani sono gli ultimi in Europa per competenze digitali. Nell’estate del 2020 l’Italia si è dotata per la prima volta di una strategia nazionale per le competenze digitali. L’impegno, entro il 2025, è di raggiungere il 70% di popolazione con competenze digitali di base e raddoppiare i possessori di competenze digitali avanzate. 

Per noi che ci eravamo rassegnati ai tempi lunghi, una tragedia globale potrebbe accelerare l’atteso rinascimento digitale. I tempi non sono mai stati più maturi.

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