Ancora oggi non sappiamo quanti alberi e grandi arbusti popolino il pianeta, benché siano tra i più fedeli alleati nella lotta al cambiamento climatico per la loro capacità di assorbire e immagazzinare le emissioni di anidride carbonica, offrire riparo e risorse alimentari e prevenire l’erosione del terreno. Ma, grazie a 11mila immagini satellitari ad altissima risoluzione, elaborate dal Blue Waters dell’Università dell’Illinois (che è uno dei supercomputer più potenti al mondo), ne sono stati rintracciati più di 1,8 miliardi in un’area di 1,3 milioni di chilometri quadrati del Sahara e Sahel occidentali.
«Sebbene la copertura vegetale complessiva sia bassa, la densità relativamente alta di alberi isolati sfida le narrative prevalenti sulla desertificazione delle zone aride. Anche il deserto mostra una densità di alberi sorprendentemente alta», si legge in un articolo pubblicato su Nature, che è frutto dello studio coordinato da Martin Brandt dell’università di Copenaghen in collaborazione con il Goddard Space Flight Center della Nasa.
Si tratta di una scoperta con un grande potenziale: suggerire come monitorare con precisione e a livello globale il numero complessivo di alberi per indagare il loro ruolo nella mitigazione della crisi ambientale, dei cambiamenti climatici e della povertà. Un’analisi che ci fornisce dati importanti per combattere un fenomeno in continua espansione: la deforestazione.
Grazie a tecniche simili, in questo caso con l’ausilio di immagini ad alta risoluzione scattate a circa 600 km di altitudine dai satelliti Worldview-3 e 4, un gruppo di ricercatori del Regno Unito e dei Paesi Bassi ha potuto monitorare la presenza e i movimenti degli elefanti africani (Loxodonta africana) nell’Addo Elephant National Park, il terzo parco più grande del Sudafrica, dove i branchi si spostano tra l’habitat aperto della savana e quelli eterogenei e chiusi di boschi e cespugli.
L’algoritmo per il monitoraggio dei pachidermi, ideato e messo a punto all’Università di Bath, è il primo sistema per controllare gli animali attraverso un paesaggio eterogeneo. Le immagini satellitari elaborate da algoritmi informatici potrebbero rappresentare un nuovo, e promettente, strumento per il telerilevamento della fauna selvatica. «Il pianeta si trova nell’era geologica dell’Antropocene durante la quale l’attività umana è la forza trainante del mutamento», spiegano i ricercatori nell’articolo pubblicato sulla pagina della Zoological Society of London. «Molte specie di fauna selvatica sono minacciate in tutta la loro area geografica. Dati affidabili, precisi e aggiornati sul numero di animali selvatici sono essenziali per monitorare le fluttuazioni della popolazione e identificarne le cause».
Il monitoraggio accurato degli elefanti africani è fondamentale per garantire la loro conservazione: la popolazione di questi pachidermi, che oggi conta circa 415mila esemplari, è precipitata nell’ultimo secolo registrando 20mila perdite l’anno a causa del bracconaggio e della frammentazione del loro habitat.
A differenza della tecnica di monitoraggio solitamente utilizzata per rintracciare gli elefanti nella savana, il conteggio condotto da aerei con equipaggio, i vantaggi del telerilevamento sono numerosi: «Grandi estensioni spaziali possono essere coperte in brevi periodi di tempo, rendendo possibili rilievi e rivalutazioni ripetute a brevi intervalli». Uno dei satelliti utilizzati in questo studio, il Worldview‐3 è in grado di fotografare, ogni 24 ore, fino a 680.000 chilometri quadrati di territorio. «Le immagini satellitari vengono acquisite su vaste aree in una sola ripresa, quindi non sussistono problemi di errori di conteggio. Il telerilevamento satellitare è, inoltre, discreto in quanto non richiede la presenza umana, eliminando così il rischio di disturbare le specie oggetto di indagine».