Come in gran parte dell’Occidente l’economia e i temi relativi all’occupazione sono sempre stati sulle prime pagine dei giornali anche in Italia, sia nei periodi di normalità e di crescita che nei molti di crisi e recessione, e anche quando la pandemia ha stravolto le vite e l’attenzione mediatica si è concentrata su di essi. Proprio per le conseguenze economiche ha avuto.
Eppure se si discute della magrezza dei nostri stipendi e delle difficoltà di assunzione da parte delle aziende, del costo del lavoro da tagliare, degli incentivi da dare alle imprese, è sempre passato in secondo e terzo piano il tema degli incentivi dei singoli ad occuparsi, quando lavorare o meno è anche una scelta della singola persona.
È un argomento che altrove è stato maggiormente al centro della discussione pubblica, per esempio in Germania, dove si è parlato dell’effetto disincentivante dei sussidi precedenti alla riforma Harz IV e del sistema di tassazione delle coppie che con il metodo dell’income splitting incentiva colui che guadagna meno, soprattutto le donne.
Eppure il tema è attuale anche in Italia, laddove come il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha ricordato, il gap tra l’occupazione maschile e femminile è massimo in Europa, e dove in generale il tasso di occupazione è tra i più bassi, e quello di inattività maggiore.
In particolare quest’ultimo ci fa pensare che non vi è solo un problema di spinta all’assunzione per le imprese, ma anche di volontà di occuparsi. Per molti, soprattutto donne, la lontananza dal mondo del lavoro non deriva dal non trovare occupazione, ma dal non cercarla.
E ancora più attuale è questo tema con il rafforzamento del sussidio per la disoccupazione – la Naspi – negli ultimi anni, e l’introduzione del Reddito di Cittadinanza e del recentissimo Reddito di Emergenza.
Esiste una trappola di povertà che tiene nell’inattività molti di coloro che trovando lavoro vedrebbero le proprie entrate crescere di poco rispetto ai sussidi che ricevono, mangiati anche delle imposte. È un meccanismo che vale anche per l’incremento dei redditi che avrebbe colui che volesse passare dal part time al full time, che sarebbe in parte ridotto dalle maggiori imposte.
Se si tratta della transizione tra la disoccupazione e il lavoro si parla più specificatamente di trappola di disoccupazione. Che nel nostro Paese è molto alta, sfiora l’80% del salario lordo che guadagnerebbe un neo-assunto, quindi di solito inferiore a quello medio. Il vero guadagno netto sarebbe solo il 20%, tolto quello che le tasse si mangerebbero e tolto quanto comunque era garantito dai sussidi che si prendevano.
In controtendenza rispetto al resto d’Europa la trappola di disoccupazione è cresciuta tra gli anni 2000 e 2010, ammontava solo al 74,3% nel 2007, meno che in Germania o in Francia, dove invece ora è più bassa.
In questi Paesi vi è stata una maggiore attenzione a non disincentivare il disoccupato dal trovare lavoro.
Appare piuttosto singolare che proprio l’Italia, Paese con bassa occupazione, disincentivi al cercare lavoro più della gran parte degli altri Stati europei e non europei. Soprattutto se questi dati sono rapportati a quelli sull’occupazione, in particolare del segmento di popolazione più sensibile a queste trappole, quella delle donne tra i 25 e i 49 anni, quelle che tendono a essere ancora più disincentivate dal lavorare o dal lavorare di più, essendo spesso occupate dagli impegni familiari, in presenza di un welfare per la famiglia piuttosto scarso.
Il peggioramento dell’occupazione di questa fascia in Italia è coinciso con il peggioramento della trappola di disoccupazione mentre nell’Unione europea e in Francia accadeva l’opposto.
Per esempio in Grecia, altro Paese con bassa occupazione, la trappola di disoccupazione è molto limitata, anche se qui tra i motivi vi è il livello particolarmente scarso dei sussidi pagati a chi ha perso il lavoro.
Se a essere disincentivato è l’aumento delle ore di lavoro si parla invece della trappola dei bassi salari. Si tratta della percentuale di reddito lordo aggiuntivo che viene perso per le tasse o la riduzione di sussidi nel passaggio da un salario molto basso, corrispondente al 33% di quello medio, per esempio frutto di un lavoro part time, a uno che sia due terzi di quello medio, quindi magari un full time in una mansione elementare.
Qui l’Italia è leggermente sotto la media europea, con il 38,3% ma si tratta di un valore probabilmente troppo alto in proporzione all’occupazione.
Nel corso degli anni la trappola dei bassi salari è rimasta piuttosto immobile, mentre ci si sarebbe aspettati che almeno incidesse non più che in Spagna, uno dei Paesi con tasso di occupazione femminile inferiore alla media, seppure superiore alla nostra.
A influire su questi numeri più che il livello dei sussidi vi è la tassazione, per esempio la presenza di aliquote marginali effettive che guarda caso sono più alte e più variabili proprio sotto i 38 mila euro lordi. Si tratta della quota di reddito aggiuntivo che al passaggio da uno scaglione all’altro dell’IRPEF viene pagata in tasse, e considerando che dopo un certo reddito scattano le addizionali e si esauriscono gli assegni familiari, ad alcuni livelli di reddito su 100 euro in più ne rimangono in tasca solo la metà, nonostante parliamo di stipendi netti magari inferiori ai 1.500 euro al mese. E vi sono casi limite, per esempio intorno ai 18mila e ai 28mila euro, in cui l’aliquota marginale effettiva arriva al 100%.
Se consideriamo che in Italia più che altrove la qualità dei posti di lavoro soprattutto per i neo-assunti o per i lavoratori a basso reddito lascia a desiderare, con contratti a termine o in somministrazione, prevalentemente in piccole e micro aziende, in settori spesso duri come il commercio, dove il lavoro è sovente poco qualificato, con poche possibilità di carriera, ecco che è plausibile che soprattutto le donne rinuncino a cercare lavoro se in cambio il guadagno aggiuntivo è così flebile.
Non ne vale la pena.
E invece varrebbe la pena provare, visto che si parla nel governo Draghi di riformare il sistema fiscale, a guardare anche a questo aspetto. Perché l’Italia che proverà a rinascere dopo la pandemia non potrà più permettersi di escludere dal lavoro quella grande massa di uomini e soprattutto donne che ora giacciono nel limbo invisibile dell’inattività.