L’emergenza sanitaria scaturita dalla diffusione del Covid-19 e la conseguente crisi economica hanno innalzato del 34% (dal 4,5% al 6%) la probabilità di default delle PMI italiane, ovvero di una vasta maggioranza delle nostre aziende, fonte fondamentale di occupazione per il nostro tessuto economico-sociale.
Le metriche finanziarie in vertiginoso calo ed il prossimo termine del blocco dei licenziamenti rischiano quindi di lacerarlo profondamente, con centinaia di migliaia di famiglie che potrebbero vedersi ridurre il reddito a seguito della perdita del lavoro da parte di un proprio membro.
Come se tutto ciò non fosse abbastanza, però, un altro fenomeno potrebbe creare ulteriore turbolenza nei gangli del nostro sistema produttivo.
Il numero di passaggi generazionali nell’ambito delle aziende famigliari, infatti, si prospetta estremamente elevato nei prossimi anni.
Ad oggi in Italia vi sono circa 154mila PMI, con ricavi compresi tra 2 e 50 milioni di euro e, di queste, poco più di 100mila sono aziende a conduzione famigliare, delle quali stime accurate rilevano che almeno un quarto sia guidato da capi azienda con un’età superiore ai 70 anni.
Già questo spaccato appare complessivamente preoccupante, dato che numerosi report certificano che mediamente la performance economica delle aziende famigliari guidate da ultrasettantenni è ben peggiore di quella fatta registrare dalle aziende a guida più giovane.
Se da un lato, infatti, l’imprenditore più anziano può vantare grande esperienza nella conduzione del business, dall’altro è chiaro che a quell’età la spinta creativa si va esaurendo, così come la propensione al rischio e l’attitudine a nuove tecnologie e all’innovazione in generale.
A questo va aggiunto che solo un quarto delle aziende a conduzione famigliare fa registrare la presenza di almeno un membro del board esterno alla famiglia, quando invece sono proprio quelle che introducono nell’organo direttivo figure diverse dai familiari a far registrare le migliori performance, la maggior propensione all’export, un miglior tasso di innovazione.
Tuttavia la complessità sembra aggravarsi per l’aspetto squisitamente quantitativo, cioè a causa del numero di aziende che sarà chiamata ad effettuare un passaggio generazionale nei prossimi cinque anni, stimabile in circa un quarto delle 100mila aziende menzionate, alle quali va aggiunto quasi un ulteriore quarto guidato oggi da imprenditori over 60.
Significa quindi che tra il 40% e il 50% delle PMI a conduzione familiare italiane potrebbe dover cambiare guida nei prossimi 10 anni.
Il passaggio generazionale è di per sé un momento estremamente delicato della vita aziendale perché coinvolge dinamiche di business, ma ancor di più equilibri che afferiscono non solamente alla sfera economica, ma ben più significativamente a quella affettiva, emotiva, delle relazioni interpersonali.
Non è un caso, infatti, se storicamente in Italia circa il 10% dei fallimenti aziendali abbia come causa un passaggio del testimone tra diverse generazioni non perfettamente riuscito, senza contare le liquidazioni volontarie.
Pensare quindi che potenzialmente tra 25mila e 50mila aziende che oggi contribuiscono alla produzione di ricchezza, alla base del gettito fiscale, ad uno status occupazionale già di per sé sofferente siano chiamate a questo tipo di sfida nei prossimi anni appare un fenomeno da far tremare le vene ai polsi.
La ricetta per gestirlo non è semplice e si compone di alcuni ingredienti.
Il primo, più importante, è un patto tra generazioni, dove il capo-azienda deve riuscire a mettere da parte il proprio ego, ma non di certo l’amore per la propria creatura. È proprio un atto d’amore, infatti, pianificare per tempo il passaggio del testimone e lasciare che alla guida si insedi chi può avere più energia e una visione del futuro più al passo coi tempi. In questo senso, un “di cui” della riflessione è relativo alla capacità di poter prendere le redini aziendali da parte di eventuali eredi, che va analizzata con profonda onestà intellettuale, sapendo che la genetica non è necessariamente fattore di merito né tantomeno garanzia di risultati.
Per valutare al meglio questo delicato aspetto sarebbe importante che la discussione tra generazioni, prima che sull’azienda, si concentrasse sui valori della famiglia che vanno discussi apertamente, senza tabù, con l’obiettivo di costruire una solida architettura di pensiero condiviso che possa contenere tutte le diverse leve azionabili sul fronte aziendale.
Oltre a queste dinamiche soft ve ne sono naturalmente altre di natura più tecnica.
In primis non va trascurata la possibilità di far ricorso, eventualmente anche a titolo temporaneo, a manager esterni per pilotare il passaggio consentendo alle giovani generazioni di farsi le ossa finché la barra viene comunque mantenuta a dritta. Non si tratta di un disonore o di un supporto dovuto ad incapacità, ma uno sforzo di apertura a visioni e competenze esterne, abbracciate nella convinzione che questa pluralità sia un elemento di arricchimento e di ispirazione per l’intera organizzazione.
Un ruolo importante può anche essere rappresentato da fondi di private equity, privilegiando quelli di minoranza se non si vuole cedere lo scettro del comando, assicurandosi però al contempo l’innalzamento della managerializzazione dell’azienda e l’introduzione di discipline virtuose quali ad esempio il controllo di gestione, troppo spesso trascurato quando le più importanti decisioni aziendali vengono prese al tavolo del tinello.
Infine, soprattutto per le aziende più grandi, il ricorso a consulenti esterni specializzati, prima ancora sulle tematiche familiari e di legacy e poi aziendali, non può che garantire una miglior contezza delle risorse, dei vincoli, delle sfide e delle opportunità con cui fare i conti.
Queste figure, tra l’altro, sono anche in grado di suggerire gli strumenti giuridici e tecnici più efficaci (patti di famiglia, trust ecc…) per garantire uno svolgimento ottimale del passaggio.
Da anni l’argomento ha trovato grande spazio sui media, è dibattuto in consessi prestigiosi, è insegnato nelle università, ma mai come in questo momento storico bisognerà affrontarlo. Farlo in modo efficiente è una delle sfide cruciali da vincere nei prossimi anni per il nostro tessuto economico, già tanto provato dalle recenti criticità, ma che su questo tipo di aziende, che ne sono l’ossatura, ripone le proprie speranze di rilancio.