Alla fine è stato riconfermato. Il medico prestato alla politica, il governativo che ha dichiarato guerra ai burocrati, il Cinque Stelle più televisivo ai tempi della pandemia. «Al ministero qualcuno sta stappando le bottiglie di champagne perché io me ne vado», diceva appena qualche giorno fa, collegato con l’ennesima trasmissione. «Persone che si sentono dei “mini ministri” perché sanno che la politica è transitoria, mentre loro rimangono dove sono per decenni e decenni». Contrordine, i funzionari hanno dovuto rimettere le bollicine in fresco. Pierpaolo Sileri continuerà a fare il sottosegretario.
Romano, classe 1972. Sposato, un figlio e un altro in arrivo. «Chi è quel Sileri? Non sembra un Cinque stelle». Il ritornello, che circolava ai tempi del primo lockdown tra gli addetti ai lavori, dovrebbe suonare come un complimento. «Pierpaolo è bravo per caso», ha sentenziato Vittorio Sgarbi, dove la casualità è attribuita al fatto di appartenere al Movimento.
Stimato da virologi e politici, piace anche a destra. Il leghista Edoardo Rixi aveva pubblicamente auspicato la sua riconferma. Della stessa idea anche Guido Crosetto di Fratelli d’Italia. Un medico apprezzato, anche per la sua professionalità. Non c’è partito che tenga, davanti al dottore. In molti gli chiedono consulti, anche al Senato dove è stato eletto nel 2018. Un medicinale, una visita telefonica, il nome di uno specialista. Lui non si nega a nessuno.
Il camice è lì, insieme alla laurea in medicina con specializzazione in chirurgia dell’apparato digerente: «Levo i tumori dalla pancia della gente». Un dottorato di ricerca in Robotica e innovazioni informatiche applicate alle scienze chirurgiche. Esperienze negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, svariate pubblicazioni. Fa il professore universitario e nel 2016 ha vinto un concorso al San Raffaele dove andrà a fine legislatura. Quando gli comunicarono la nomina a sottosegretario era in sala operatoria e lì vorrebbe tornare. «Sono un chirurgo, non butto via 25 anni di sacrifici e professione».
Intanto colleziona più apparizioni televisive del suo “capo” Roberto Speranza. Spesso è lui a fare le dichiarazioni che ci si aspetterebbe dal ministro. I conduttori se lo contendono. «Gli è stato chiesto di metterci la faccia, anche per chi non lo fa», raccontano dal ministero. Lo trovi in più programmi nella stessa giornata, mattina e sera. Dai talk politici ai salotti nazionalpopolari. Coccolato da Mara Venier, invitato tutte le settimane da Massimo Giletti, mentre Myrta Merlino scomoda gli slogan: «Qui da me qualcuno ha detto “toglietemi tutto ma non Sileri”». Parla in modo semplice. Compiaciuto, fa sapere che quando cammina per strada la gente lo ringrazia.
Per combattere il virus non crede nel lockdown generale, al contrario del collega Walter Ricciardi. Preferisce il sistema dei colori e le chiusure localizzate. Giusto mantenere il blocco degli spostamenti tra le regioni ma i ristoranti, almeno in zona gialla, dovrebbero avere la possibilità di lavorare anche la sera. Il suo programma è: vacciniamo gli anziani e riapriamo gradualmente, il prima possibile. Cinema e teatri compresi. Annota «un problema di comunicazione» da parte degli esperti, lui che spiega senza allarmare. E sono sempre di più quelli che lo ascoltano.
Eppure un anno fa non lo conosceva nessuno. Sileri deve la sua popolarità a un viaggio in Cina. Il 2 febbraio 2020 si è imbarcato sul Boeing KC767 dell’Aeronautica Militare dall’aeroporto di Pratica di Mare alla volta di Wuhan, per andare a prendere i cittadini italiani rimasti bloccati a causa del Covid. Dieci giorni dopo un altro viaggio per recuperare Niccolò, lo studente che le autorità cinesi non avevano fatto partire con gli altri connazionali. In quelle settimane il nome di Sileri cominciò a circolare. Le prime interviste, la gestione della pandemia.
Nel giro di poco tempo Sileri è diventato una celebrità e ha dato alle stampe un libro (a differenza dell’opera di Speranza, questa è stata messa in vendita). Traguardo imprescindibile nel cursus honorum del politico contemporaneo.
Ma c’è anche l’altra faccia della medaglia, quella sgradevole. A Sileri sono arrivate minacce e pressioni per il suo lavoro durante l’emergenza Covid, e dallo scorso maggio è sotto scorta. Lo descrivono come un pragmatico, «ha un occhio critico e clinico, in grado di prevedere e governare una serie di processi». È in ufficio dalle 8 di mattina alle 10 di sera, salta regolarmente il pranzo e ha cambiato diversi portavoce che non sono riusciti a stare al passo coi suoi ritmi.
Al ministero si muove come un marziano. Il talento diplomatico è quello dell’elefante nella cristalleria. È riuscito a ingaggiare polemiche pubbliche con gli alti dirigenti e il Comitato tecnico-scientifico. La sua battaglia più rumorosa è quella contro il piano pandemico non aggiornato per colpa della «sciatteria» della burocrazia ministeriale. Una sacrosanta questione di trasparenza. Per questo ha chiesto in tv le dimissioni del Segretario generale Giuseppe Ruocco, ma ha tirato in ballo anche Ranieri Guerra, direttore aggiunto dell’Oms e al centro dello scandalo sul report riguardante la risposta italiana al Covid ritirato a maggio nel giro di 24 ore.
Dai corridoi del ministero segnalano confronti accesi anche con Goffredo Zaccardi, potente capo di gabinetto del ministro Speranza. E una certa dialettica con la vice Tiziana Coccoluto. Sileri ha lamentato di non ricevere mail e di non essere informato. L’accusa ai burocrati è quella di non avergli fatto toccare palla. Studia, chiede, indaga. «È un gran rompiscatole e non accetta di fare la figurina dietro la scrivania», racconta a Linkiesta una fonte vicina a Sileri. «Certo, andare in tv e sparare a zero contro la struttura ha creato una spaccatura ancora più difficile da ricucire».
Durante la prima ondata si era ammalato di Covid e al Corriere della Sera denunciava: «Sono stato tagliato fuori, dal Comitato tecnico-scientifico non mi hanno mandato un verbale, un rapporto, niente. Eppure potevo lavorare». Il ministero non lo coinvolgeva nelle scelte e non lo faceva partecipare alle riunioni.
Dopo una delle sue intemerate televisive contro il Cts, è dovuto intervenire l’allora premier Giuseppe Conte. Peccato che poi Sileri sia tornato alla carica: «Il Cts nasce come centro di potere romanocentrico e maschilista. Provai a inserire una mia osservatrice e l’allontanarono. Proposi Galli, Gismondo, Zangrillo e Crisanti. Mi fu detto no».
Dal Cts raccontano un’altra versione. «Sileri se la prende con noi per qualcosa di cui dovrebbe chiedere conto al suo ministro», spiega a Linkiesta un’autorevole fonte del Comitato. «Lo abbiamo sempre invitato a partecipare alle nostre riunioni. Dopodiché noi trasmettiamo i verbali al Gabinetto del ministro, non li mandiamo a nessun altro. Se Sileri non riesce ad avere il verbale da Speranza, evidentemente Speranza non vuole darglielo. Ma questo è un problema suo e attiene ai rapporti politici interni al ministero».
Sileri non è un grillino della prima ora. Non ha un passato da attivista e non ha mai frequentato un Meetup. La sua strada ha incrociato quella del Movimento grazie alle sue battaglie contro nepotismo e baronati nel mondo dell’università. Ne parlò a Paola Taverna. E lei, insieme a Luigi Di Maio, gli chiese di candidarsi.
Tra i Cinque Stelle è un battitore libero. Lo scorso aprile fece saltare dalla sedia tanti colleghi pentastellati proponendo l’obbligatorietà del vaccino anti-Covid. Non esattamente un caposaldo del vangelo grillino. Stimato da tutti, anche se, sussurra qualcuno dal ministero, «quando Di Maio vuol sapere qualcosa non chiama Sileri, si rivolge a Speranza». Il sottosegretario non si offende e continua a combattere.