Mocassini Dante, camicia azzurra e giacca grigia. Vestito da genero doc, Pablo Casado prese la bandiera spagnola e salì su una macchina blu targata 2960 BFZ. Sì, proprio su una macchina. Come un antifa, ma un antifa che non manca mai alla messa delle 10. Questa è forse la foto più ricordata della campagna delle primarie del Partito popolare (PP) di due anni e mezzo fa.
Casado, il figliolo politico di José Maria Aznar, ha vinto quella campagna parlando del «vero PP», in confronto a quel partito moscio ideologicamente che aveva gestito Mariano Rajoy. Rappresentava la gioventù contro la vecchiaia, la capitale contro la provincia, la destra di tutta la vita contro… va be’, contro Rajoy, che è stato il politico più andreottiano che la Spagna abbia mai visto.
Siamo partiti dal passato per capire meglio quel che è successo nell’ultimo weekend alle elezioni catalane. Perché Casado è il primo leader del Partito popolare, partito storicamente egemone nel centrodestra spagnolo, che si vede sorpassato a destra dagli estremisti di Vox, guidati da un ex popolare – e amico suo amico – come Santiago Abascal. E non si parla di una distanza minima. Con queste elezioni il Partito Popolare è passato da 4 a 3 seggi nella Camera catalana; Vox, che non ne aveva nessuno, oggi ne ha 11: è il quarto partito della Catalogna, il primo della destra spagnola. Per il Partito popolare è stato un massacro.
La campagna di Vox è girata attorno a un solo tema: l’immigrazione. Il suo candidato, Ignacio Garriga, è nero. La mossa tattica è stata infallibile. Nessuno può dargli del razzista. E poi hanno trovato quel momento che cercavano: sono andati a fare un comizio a Vic, zona ultranazionalista, e sono stati aggrediti dai gruppi radicali, con lanci di sassi e uova, e l’intervento della polizia. La campagna elettorale migliore possibile.
Oggi Casado parla di estrema destra quando parla di Vox. Due anni fa diceva di «condividere molte idee e molti principi» con loro. È successo sempre così. In Italia. In Francia. Negli Stati Uniti. La destra si mette a fare il gioco dei populisti, usa le parole dei populisti e finisce divorata da loro. Quando si rende conto del suo clamoroso errore è sempre troppo tardi. Come diceva Jean Marie Le Pen, «i francesi preferiranno sempre l’originale alla copia».
Per ora si tratta solo di un’elezione regionale. Ma Vox può diventare il partito egemonico della destra spagnola alle prossime politiche? Torniamo a Casado, prima di rispondere.
«Si è inginocchiato. Il PP è morto»
Il candidato di Casado in Catalogna era Alejandro Fernández, uno sconosciuto: uno di quei politici bravi a fare la terza fila, ma non uno di quelli con il talento di incantare le masse, per dirla gentilmente. Quindi è diventata la campagna di Casado, la cui strategia è diventata incomprensibile. E ora, logicamente, tutti gli sguardi si girano verso di lui.
Il Partito popolare dà la colpa agli scoop sulle tangenti dell’epoca Rajoy che continuano a uscire sui giornali. Invece, quelle informazioni non muovono nemmeno un voto. Il momento decisivo di Casado è stata la sua intervista alla radio Rac1, la più ascoltata in Catalogna e molto nazionalista.
In una regione segnata dal separatismo, socialmente quasi tagliata in due, ha chiesto che le domande gli fossero rivolte in catalano. Ha detto che il giorno del finto referendum indipendentista, 1 ottobre del 2018, lui, portavoce nazionale del Partito popolare, non ha voluto parlare davanti ai media perché non condivideva la politica di Rajoy. Secondo lui, «anche se non era omologabile a un vero referendum, non si poteva dire che i catalani non stavano votando».
Con quella frase Casado ha rinnegato il suo passato politico. Per la Catalogna più spagnola e per la Spagna più nazionalista è stata come una pugnalata al cuore. «Si è inginocchiato. Casado è morto. Eppure il PP», è stato il commento di Federico Jiménez Losantos, il conduttore radio della destra più oltranzista. I risultati si sono visti domenica.
Ieri Casado ha presieduto un comitato nazionale. E l’unica vera reazione al disastro catalano è stato annunciare che la famosa sede del Partito popolare, in via Genova, una delle più belle strade di Madrid, sarà venduta. Una sede tra l’altro abbellita con i soldi delle tangenti, secondo i giudici. Ricorda un po’ quelle coppie che decidono di cambiare casa o fare un figlio per risolvere la loro crisi sentimentale: si sa come va a finire dopo. Casado ha detto anche che non si muove dal centro e che la sua scommessa politica è quella giusta. E il problema non è quello, è che forse arriva un po’ in ritardo.
Gli elettori non riescono a capire dov’è politicamente Casado. In questo momento gioca da moderato. Dico «in questo momento» perché il giovane leader è alla sua quarta svolta in due anni e mezzo. Ha preso il Partito popolare a destra, salendo sulle macchine con una bandiera, come avete già capito. In quell’epoca paninara e destrorsa quando gli chiedevano chi era il suo esempio politico lui rispondeva «Sebastian». Mica diceva Sebastian Kurz, per far capire che parlava del cancelliere austriaco difensore di una destra rigida e molto liberale. Diceva solo «Sebastian», come il vicino del quarto piano a cui vai a chiedere il sale.
Ma i baroni regionali del Partito popolare l’hanno costretto a una svolta moderata, perché nelle provincie spagnole, a dirla tutta, si parla poco di «Sebastian» ma molto di gestione efficace. E lui ha detto di essere un leader centrista, ci mancherebbe.
Poi è tornato a destra per le elezioni locali e regionali e il suo tono si è esaltato fino al punto di lanciare 37 insulti contro Pedro Sánchez in 15 minuti (tre per minuto, non male) in una storica conferenza stampa: «Sociopata, traditore, presidente fake…».
In quel momento aveva deciso di combattere Vox condividendo lo stesso discorso, lo stesso stile e anche le stesse foto: il 10 di febbraio del 2019, alla madrilena Piazza de Colón, si sono manifestati i due partiti insieme ai centristi di Ciudadanos. Una foto che ha avuto un’importante influenza nella sua sconfitta di novembre dello stesso anno contro Pedro Sánchez.
E finalmente arriviamo all’ultima tappa del giro ideologico. Pochi mesi fa, durante la questione di fiducia di Vox, Casado ha rotto tutti i ponti con l’estrema destra. Ha fatto bel discorso da leader moderato, europeo, liberale, morale… ma non molto credibile. Ha bisogno di Vox per governare le due regioni più importanti: Madrid e l’Andalusia. E anche per essere presidente del governo. Ma dovrebbe anche allontanarsi da loro. Un rompicapo irrisolvibile. Intanto Vox non molla e soprattutto non cambia rotta. Fanno tanti errori, ma nessuno potrà dire che non sono coerenti. E questo, nella politica di oggi, rende.
Quando i partiti liberali e moderati non riescono a tenere una linea morale chiara verso il populismo, come ha fatto da sempre Angela Merkel, prima o poi finiscono per subire i danni. Questa è la battaglia più importante della politica contemporanea: cosa fare di fronte al populismo di destra, quello di sinistra e anche quello che non si capisce da dove arrivi (M5S). Pochi messi fa, già dicevamo qui a Linkiesta che il sorpasso di Vox era possibile, proprio perché il Partito popolare «è passato dal liberalismo al cialtronismo». Ora il sorpasso è solo un po’ più vicino.