Studiare i processi alla base della cosiddetta amplificazione artica, ovvero il motivo per cui le regioni polari continuano a registrare un tasso di riscaldamento pari al doppio di quello globale, portando alla riduzione del ghiaccio marino.
È l’obiettivo dei progetti Ecapac e Sentinel (coordinati rispettivamente da Enea e dall’Istituto di scienze Polari del Cnr), due tra i sei finanziati dal Bando 2018 del Programma di Ricerche in Artico 2018-2020. Un passo avanti per comprendere il cambiamento climatico.
L’Artide non gode di buona salute. Anzi, sta rispondendo molto rapidamente al riscaldamento globale e, allo stesso modo, lo stanno facendo anche alcune regioni dell’Antartide occidentale e soprattutto della penisola antartica. Per questo motivo, le aree polari sono considerate regioni chiave per il nostro sistema climatico. Basti pensare che le calotte e i ghiacciai intrappolano circa l’80 per cento dell’acqua dolce presente sul nostro pianeta.
«Se le calotte continentali perdono massa, riversandosi nei mari, portano a un aumento del livello degli oceani con conseguenti ripercussioni sia dal punto di vista climatico sia da quello sociale. Inoltre, dobbiamo tenere presente l’importanza del ghiaccio marino per la fauna – la sopravvivenza di alcune specie è legata alla sua presenza – e per gli spostamenti e attività di caccia e pesca delle popolazioni dell’Artide», sottolinea Virginia Ciardini, ricercatrice Enea del Laboratorio di Osservazioni e misure per l’ambiente e il clima.
Gli attori più interessati dal fenomeno dell’amplificazione artica sono l’oceano, il ghiaccio marino e l’atmosfera. La riduzione della copertura di ghiaccio marino altera i flussi di calore, cioè lo scambio fra l’oceano e l’atmosfera. E il mare, più scuro, assorbe più energia solare, che accumula, e in parte rilascia, sotto forma di calore verso l’atmosfera, causando un aumento della temperatura e quindi un’ulteriore riduzione della copertura di ghiaccio marino. Quest’ultima riflette la quasi totalità dell’energia che arriva al suolo con conseguente variazione della temperatura.
«Sono tanti i fattori che ci permettono di dire che le regioni polari, nonostante siano così lontane da noi, sono molto importanti per l’intero pianeta», spiega Claudio Scarchilli, ricercatore Enea del Laboratorio di Osservazioni e misure per l’ambiente e il clima.
I ghiacciai continentali conservano al loro interno, proprio come in un archivio, informazioni sul clima del nostro passato. Le analisi delle carote di ghiaccio permettono di ricostruirlo e di confrontare le concentrazioni di gas serra, ottenute dall’analisi dei singoli strati, con quelle attuali e metterle in relazione alla temperatura. «Conoscere il nostro passato – sottolinea Ciardini – ci permette di comprendere il presente».
Nelle regioni polari un aumento della temperatura può avere un fortissimo impatto. «Per un’area polare dove la temperatura media annuale è di circa -1°C, un aumento delle temperature di 1°C o 2°C farebbe aumentare la temperatura media da valori negativi a positivi – sottolinea Andrea Spolaor, ricercato dell’Istituto di scienze polari del Cnr. Con valori negativi l’acqua è nella sua forma solida, quindi ghiaccio, con valori positivi è nella sua forma liquida. L’aumento delle temperature in Artico sta favorendo queste situazioni sempre più diffusamente e causando un aumento dei periodi di fusione estiva. Le regioni polari sono le aree più vulnerabili ai cambiamenti climatici in atto e le informazioni che possiamo ricavarne sono essenziali per capire le evoluzioni future del nostro clima e i processi ambientali che, con alta probabilità, andranno a modificarsi».
Il progetto Ecapac
Dallo scorso 4 gennaio e fino al 12 gennaio 2022, il progetto Ecapac valuterà come la variabilità della precipitazione e i conseguenti effetti sulla copertura di neve e ghiaccio inneschino i complessi meccanismi di retroazione che legano l’albedo, la temperatura atmosferica e superficiale portando a repentini cambiamenti climatici. L’albedo indica la frazione di radiazione incidente alla superficie che viene riflessa in tutte le direzioni: una superficie coperta di ghiaccio o neve ha albedo alta, infatti riflette quasi l’80 per cento della radiazione solare che la raggiunge. Il mare, invece, riflette circa il 5 per cento della radiazione solare incidente.
Il progetto Ecapac si serve di un ampio set di misure in situ e di telerilevamento effettuate dalla base di Thule in Groenlandia, ma anche dell’istallazione di nuova strumentazione dedicata allo studio della precipitazione.
La combinazione di osservazioni da terra, misure satellitari e simulazioni con un modello climatico a scala regionale, consentirà di contribuire alla comprensione dei processi fisici e allo studio di fattori forzanti del clima, in particolare dei processi che regolano la riduzione del ghiaccio artico e i meccanismi della amplificazione artica.
Il progetto è coordinato dal Laboratorio di Osservazioni e Misure per l’ambiente e il clima dell’Enea, in collaborazione con il Dipartimento di Fisica della Sapienza, l’Ingv, l’Università di Firenze e il Lamont-Doherty Earth Observatory del Columbia University Earth Institute.
Le attività di ricerca dell’Enea in Artico sono iniziate nel 1990 con la gestione, insieme ad altri istituti nazionali e internazionali, del Thule High Arctic Atmospheric Observatory, in Groenlandia nord-occidentale, e proseguono con ulteriori attività in altre regioni artiche. Punto di riferimento per gli studi sulla fisica dell’atmosfera e sul clima, l’Osservatorio di Thule contribuisce anche alla rete globale per il rilevamento dei cambiamenti della composizione atmosferica.
Il progetto Sentinel
Partito il 10 febbraio scorso e della durata di due anni, il progetto Sentinel punterà a studiare il ruolo del ghiaccio marino nella amplificazione artica e il suo impatto sull’atmosfera e in particolare sui processi chimici del bromo e del mercurio, elementi nocivi per flora, fauna e salute dell’uomo.
Coordinato dall’Istituto di Scienze Polari del Cnr con la collaborazione di Enea, dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima, il progetto analizzerà due carote di ghiaccio provenienti da due differenti regioni artiche, una nelle isole Svalbard (ghiacciaio Holthedalfonna) e l’altra nella parte Est del Plateau della Groenlandia.
Le informazioni ottenute sulla variabilità dei quantitativi di bromo e mercurio delle due aree verranno messe a confronto con altri dati climatici ricavati da dati sperimentali, quindi satellitari e da serie storiche di misure in situ.
Come sostiene Spolaor, i cicli del bromo e del mercurio nelle regioni polari sono fortemente legati da una serie di processi atmosferici ma la presenza di bromo nell’atmosfera artica durante i mesi primaverili è fortemente controllata dalla presenza ed estensione del ghiaccio marino.
L’idea alla base del progetto Sentinel è quella di capire se le variazioni di estensione del ghiaccio marino possano aver modificato il ciclo del bromo e di conseguenza il ciclo di mercurio. Il mercurio, come spiega Spolaor, è un elemento considerato tossico per la salute umana e possibili cambi nel suo ciclo naturale sono da tenere sempre in considerazione.
«Quello che ci aspettiamo dai progetti di ricerca che inizieranno a breve – spiega il ricercatore dell’Istituto di scienze polari – è avere una migliore comprensione dei possibili mutamenti nei processi ambientali che caratterizzano l’Artico durante questa fase di rapido riscaldamento. I risultati non daranno una risposta esaustiva sul come affrontare il climate change ma sicuramente forniranno informazioni utili su che cosa sta accadendo e su quali potrebbero essere le conseguenze a medio termine. Aiutandoci, così, a trovare la strada giusta per mitigare i cambiamenti in atto».