«Lei ha mai sentito parlare di Atahualpa?»
Feci cenno di no con la testa, imbarazzato.
«E di Vincente de Valverde?» Feci lo stesso gesto, e lui disse semplicemente: «Immaginavo».
Poi cominciò a raccontare: «Atahualpa è stato l’ultimo imperatore Inca, anzi Sapa, così dicevano nella loro lingua, e salì al trono a trentun anni, quando morì il padre Huayna. Non fu così facile, però: l’erede di Huayna era in realtà suo fratello Huascar e Atahualpa scatenò contro di lui una guerra civile».
Bevve d’un fiato il whiskey e continuò: «Io credo che non esista nulla di peggio di una guerra tra fratelli, non pensa? Ma così va il mondo, dai tempi di Caino e Abele».
Non capivo dove volesse arrivare, e per sfuggire al suo sguardo guardai la barca, ormai lontana. Chissà se Aileen poteva rilassarsi o doveva lavorare anche in quel momento.
«Huascar era riuscito a raccogliere un esercito di centomila uomini, mentre Atahualpa ne aveva solo sessantamila, ma il suo generale, che si chiamava Quizquiz, era molto più abile di Atoc, che guidava le truppe di Huascar.
Fu una guerra lunga, sanguinosa, spietata, fatta con pugnali, lance e pietre.
La vittoria finale di Atahualpa avvenne in un luogo chiamato Cajamarca, e fu uno dei più grandi massacri della storia dell’umanità: le alture che sovrastano Cuzco erano interamente coperte di cadaveri, al punto che non si poteva vedere neanche un centimetro di terra.
Quando capì di aver vinto, Atahualpa concesse per prima cosa a Quizquiz di disporre di Atoc. Il generale era stremato, ma entusiasta: strappò gli occhi al rivale, poi lo scuoiò vivo, e quindi, quando Atoc finalmente morì, ne usò il suo teschio come calice per brindare a Inti, dio del sole e della vittoria. A quel punto il nuovo Sapa diede ordine di non risparmiare nessuno, a cominciare dal fratello, che sgozzò con le proprie mani. I guerrieri catturati furono obbligati a mangiare il cuore dei propri capi, poi, prima di essere lapidati, vennero costretti ad assistere allo stupro e all’uccisione delle loro donne. I soldati di Atahualpa si accanirono soprattutto su quelle incinte».
Continuavo a non capire il perché di quel racconto. Joseph Kennedy rimase un attimo in silenzio, e il suo sguardo mi faceva male.
Riprese con il tono malinconico di chi conosce la fine di ogni storia.
«Al termine del massacro, l’imperatore entrò nella città sacra in trionfo e offrì il cuore del fratello a Inti, perché quello era il volere del loro dio».
A questo punto accennò un sorriso, tragico, o forse di derisione.
«Fu il suo ultimo momento di gloria: poche settimane dopo comparvero su quelle alture duecento soldati con armature luccicanti, guidati da un uomo barbuto chiamato Francisco Pizarro. I guerrieri Inca sopravvissuti alla guerra con Huascar erano quasi quarantamila, ma erano stanchi di combattere e rammolliti da settimane di baldoria. Mentre quei soldati comparsi dal nulla erano al colmo dell’eccitazione per aver raggiunto, finalmente, l’Eldorado. Avevano fame d’oro e di nuove terre e per questo avevano attraversato l’oceano e la foresta. Si erano fatti strada fin lassù con le armi da fuoco, e il solo rumore dei colpi terrorizzava i guerrieri Inca.
Pizarro tuttavia sapeva che la disparità delle forze in campo era troppo grande e decise di mettere in atto un piano audace: invitò Atahualpa a un incontro di pace e lo catturò a tradimento. Lo mise in catene, e lo esibì al suo popolo, mentre i soldati uccidevano a colpi di moschetto Quizquiz e tutta la guardia imperiale. A ogni sparo gli Inca urlavano e si disperavano, ma non osavano far nulla, il discendente diretto del dio Inti era nelle mani di quegli stranieri.
Furibondo e umiliato, Atahualpa cercò di trattare con quel soldato blasfemo, e gli promise di donargli una stanza piena d’oro e due di argento. Conosceva il cuore dell’uomo e aveva percepito l’avidità di Pizarro. Ma era troppo tardi: El Conquistador si mise a ridere, si sarebbe appropriato comunque di tutto. Condannò il giovane Sapa a esser bruciato vivo, per espiare tutte le mostruosità di cui si era macchiato.
Atahualpa era un guerriero, non aveva certo paura di soffrire, ma spiegò a Pizarro che non sarebbe potuto morire in quel modo: gli Inca credevano che le fiamme bruciassero anche l’anima. Questo è il momento in cui entra in scena Vincente de Valverde: era il frate domenicano al seguito del Conquistador, incaricato di diffondere nel nostro continente la fede cristiana. Il frate parlò a lungo con Atahualpa e gli disse che se si fosse convertito al cristianesimo avrebbe convinto Pizarro a cambiare la pena, forse anche a salvargli la vita. Quello che gli stava di fronte era un uomo di fede, pensò Atahualpa, e gli parlava di una religione assurda, dove il figlio di Dio si faceva inchiodare su una croce. E sapeva raccontarla bene, il frate, quella storia, chissà quanti ne aveva convertiti: dopo una lunga confessione, il Sapa si fece battezzare davanti a tutto il suo popolo. I guerrieri rimasero increduli, avevano combattuto e ucciso per assecondare il volere di Inti. E con loro gli anziani e le donne, che avevano pregato il dio della vittoria ogni mattino e ogni notte, e poi lo avevano ringraziato per aver posto fine con giustizia a quella guerra fratricida. Erano tutti, attoniti, senza parole: non capivano bene se il Sapa si fosse convertito a una sola divinità o invece a tre, e comunque, questo nuovo dio chiedeva di amare i nemici e non prometteva niente in vita.
Il frate domenicano conosceva bene il potere della liturgia, ed estenuò ogni gesto con solennità, battezzando l’ultimo imperatore Inca nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Le urlò quasi quelle parole, mentre Atahualpa si inginocchiava, e solo il vento osò infiltrarsi nel silenzio che era sceso sulle alture di Cuzco.
Anche Pizarro si inginocchiò, perché così si fa di fronte al proprio Dio, o se lei preferisce, alla storia. Nel giro di pochi giorni tutto il popolo Inca, senza neanche un’eccezione, seguì l’esempio del Sapa».
Joseph Kennedy rimase anche lui per un attimo in silenzio, poi aggiunse: «Qualche giorno dopo il battesimo, Atahualpa venne portato nella piazza centrale di Cajamarca ed ebbe la grazia di essere strangolato con la garrota».
Mi guardò di nuovo fisso negli occhi, continuavo a ignorare perché mi avesse raccontato quella storia terribile.
Ma non era finita: «Oltre all’oro, Pizarro prese con sé Cuxirimay, la moglie di Atahualpa, che aveva soltanto dieci anni. Le cambiò il nome in Dona Angelina e nel giro di poco tempo ebbe da lei due figli, Juan e Francisco. Come tutti i conquistadores, Pizarro comprese che aveva bisogno di una propria città nella quale eternare le sue gesta, e fondò quella che oggi conosciamo come Lima. Il re Carlo I, entusiasta delle sue prodezze, lo nominò governatore di quelle terre e Pizarro visse nella gloria e nel lusso, fin quando, un giorno, un altro conquistador, chiamato Diego de Almagro II, entrò con venti uomini nel suo palazzo e lo colpì con un colpo di spada alla gola. Sgomento, Pizarro disegnò una croce con il proprio sangue sul pavimento, invocò il nome di Cristo e poi morì. Ma pochi mesi dopo anche il suo assassino venne ucciso, e con lui Vincente de Valverde, che era stato nominato vescovo di Lima».
A questo punto Kennedy fece un’altra pausa.
Poi continuò: «Vede Mr. Singer, la storia dell’uomo è sempre andata avanti con la violenza, soltanto gli illusi pensano il contrario. E la più grande delle illusioni è credere che non siamo tutti condannati alla sconfitta. Nessuno escluso».
Finì il suo bicchiere di whiskey e fece cenno a Whistles, che era rimasto a pochi metri di distanza, di portargliene altro. Il maggiordomo si affrettò verso casa, e quando riapparve lui aveva già ripreso: «Si perde sempre, Mr. Singer, e noi irlandesi abbiamo un detto: prima o poi il mondo ti spezzerà il cuore».
Fece uno strano sorriso, doveva essergli successo spesso. Bevve ancora una volta, aveva bisogno di parlare: «Di questi e altri massacri oggi nessuno più ricorda nulla, e alcuni massacratori sono celebrati come eroi. Altri sono dimenticati, ma sia gli uni che gli altri sono cenere: Pizarro, Huascar, Atahualpa, padre Vincente, Carlo I..»..
Rimanemmo in silenzio per un po’, mentre il sole indorava lo yacht dove avrei voluto essere con Aileen.
Il patriarca riprese all’improvviso, non aveva affatto finito: «Tuttavia, caro Mr. Singer, molto spesso, attraverso quelle mostruosità sono passate anche le cose che danno senso alla vita: insieme a quei tradimenti, a quelle infamie, a quei massacri, è arrivata in quella terra anche la nostra cultura, la nostra storia e persino la nostra religione, che ci chiede di porgere l’altra guancia e amare il nemico. Di queste cose, Mr. Singer, non è conveniente parlare in pubblico, ma lei ci hai mai riflettuto?».
Continuava a fissarmi come se non fosse possibile avere un’opinione diversa, e, soprattutto, come se anch’io fossi cattolico.
«Insomma, se quanto c’è di grandioso nella nostra civiltà si è diffuso anche lì, lo dobbiamo a quegli uomini violenti, avidi e infidi, ai quali probabilmente i nostri valori, nell’intimo, non interessavano affatto. E può star certo che la bellezza, la cultura e la religione le hanno profanate e bestemmiate ogni giorno. Ignazio di Loyola, che ha vissuto proprio in quel periodo, diceva “Todo modo para buscar la voluntad divina”».
Non si curò affatto di tradurre, ma il senso l’avevo capito.
Non aveva ancora terminato, però: «E come lei certamente sa, negli stessi anni in cui Atahualpa offriva il cuore del fratello al suo dio sorto dalle profondità del lago Titicaca, nella nostra vecchia Europa vivevano Leonardo, Cervantes, Shakespeare, Raffaello e Michelangelo. Ma si tratta di un’altra cosa che oggi non è conveniente ricordare».
Non sapevo cosa dire, quello che ascoltavo mi faceva paura.
Ma fu lui a riprendere il discorso, come sempre: «Ora tocca a noi, in questo nuovo mondo». Scolò il nuovo bicchiere di whiskey tutto d’un fiato e mi sorrise.
«Voglio dirle un’ultima cosa, Mr. Singer: niente giustifica la tristezza. Soltanto il diavolo ha ragioni per essere triste». Un vento secco soffiava sulle onde del mare, creando qua e là una spuma bianca. Il sole splendeva alto e l’aria era tersa, gloriosa.
Nulla avrebbe potuto fermarlo, questo era certo, neanche la sconfitta.
da “Il principe del mondo”, di Antonio Monda, Mondadori, 2021, pagine 300, euro 19