Su Linkiesta Paper in edicolaLa scimitarra dei suscettibili e la prevalenza degli offesi (insomma, il nuovo libro della Soncini)

“L’era della suscettibilità” racconta l’epoca in cui tutti si offendono per niente e per questo cercano di abolire il dibattito pubblico. Recensioni e anticipazioni del saggio edito da Marsilio su Linkiesta Paper, il giornale in edicola da oggi a Milano e Roma oppure ordinabile qui (arriva entro due giorni)

Se io dico una cosa che a te non piace e tu dici una cosa che a me non piace, possiamo anche esserne infastiditi, è normale, ma non dobbiamo offenderci né cancellare il pensiero altrui perché è da questi particolari che si giudica una società libera e democratica. Una società libera e democratica si giudica dalla qualità del suo discorso pubblico, dalle opinioni che circolano e dal confronto delle idee. 

Certo, ci sono limiti più o meno oggettivi alle cose che si possono dire, per esempio non si può gridare «al fuoco, al fuoco» dentro un cinema o un teatro se non c’è nessun pericolo e lo si urla solo per creare panico, perché sarebbe un procurato allarme che può causare danni alle persone.

Allo stesso modo, non si può incitare a compiere atti violenti, in particolare nei confronti delle minoranze e degli indifesi né, ma è già più controverso, fomentare il sovvertimento della società democratica («vediamoci tutti venerdì mattina a Piazza Montecitorio per aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno. Fate girare!1!1!») e pretendere di restare impuniti in nome del free speech. 

Casi di scuola a parte, in una società aperta e democratica tutto il resto o quasi è consentito perché il confronto e il dissenso contribuiscono a formare l’opinione pubblica di un Paese adulto. Tanto che personaggi come Donald Trump e Alessandro Di Battista, o Alberto Bagnai e Claudio Borghi, non solo sono liberi di dire le loro fregnacce, ma entrano anche nelle istituzioni, e poi per fortuna ne escono ridimensionati non senza averle danneggiate. Così come i giornalacci o le televisionacce di riferimento di destra e di sinistra vomitano disinformazione senza che a nessuno venga in mente di chiuderle.

Ogni tanto questi principi liberali vengono messi in discussione da fattori endogeni o esterni, ma anche questa può essere una discussione utile a far riflettere, finché resta tale. 

Nel romanzo “1984, George Orwell descrisse la Thought Police, la polizia del pensiero o psicopolizia, come lo strumento di coercizione più invasivo che l’essere umano potesse immaginare e sopportare: il controllo del pensiero ventiquattr’ore su ventiquattro. In “Il Racconto dell’Ancella”, per fare un esempio letterario e televisivo più recente, Margaret Atwood fa salutare vittime e carnefici di un regime teocratico ispirato al Vecchio Testamento, ma anche alla Ddr, all’Arabia Saudita e all’Iran degli ayatollah, con la minacciosa formula «Under His Eye» e impone di denunciare i pensieri e i dubbi altrui alle occhiute milizie armate che subito provvedono all’impiccagione istantanea. 

Ma non è solo letteratura distopica, appunto. L’islamismo radicale, di cui oggi a torto o a ragione non si parla più, ma che fino all’era pre-pandemica era la minaccia più pressante sia nel mondo islamico sia nella società occidentale, si pone l’obiettivo politico di restringere i limiti di ciò che è consentito pensare e per questo tortura o uccide i dissidenti, a cominciare dagli apostati, minaccia la libertà di espressione e controlla la libertà di pensiero. Non è un modello di società molto distante da quello dei sistemi totalitari del Novecento o di certe recrudescenze del XXI secolo. 

Vi chiederete che cosa c’entrano “1984”, il “Racconto dell’Ancella”, i sistemi totalitari del Novecento, l’ideologia militante dell’Islam radicale e la minaccia alla libertà di pensiero con il nuovo saggio “L’era della suscettibilità” scritto da Guia Soncini per Marsilio, cui dedichiamo la copertina de Linkiesta Paper, questo articolo, l’intervento di Luca Bizzarri in ultima pagina e di cui pubblichiamo anche un estratto a pagina due.

Apparentemente c’entrano poco, ma solo in apparenza perché in realtà quello che sta succedendo nella società occidentale e che Soncini racconta con la solita esilarante abilità e la solita urticante ferocia è la versione contemporanea della polizia del pensiero, per quanto ancora ridicola e rudimentale. In ogni caso,  “L’era della suscettibilità” è una diagnosi esatta dell’impoverimento del dibattito pubblico e dell’indebolimento della comunità democratica. 

Quando Guia Soncini ha cominciato a interessarsi dei temi sviluppati nel libro, mi sembrava che la società occidentale avesse altri problemi ben più gravi cui far fronte, tipo Donald Trump e Beppe Grillo, per non parlare delle minacce putiniane, cinesi e islamiste, rispetto alla fastidiosa e pericolosa evoluzione dell’ideologia del politicamente corretto in cultura della cancellazione delle opinioni dissidenti. 

Era certamente un fenomeno che stava prendendo piede nei college americani e nel dibattito pubblico globale, capace di raggiungere alcune grottesche diramazioni italiane. Ma, appunto, l’idea che non si potesse più dire niente che non fosse conforme alle nuove regole della suscettibilità, pena la vergogna pubblica alimentata dai social, mi sembrava meno urgente rispetto alle enormità che continuavano invece a dire Trump, Grillo, Salvini dai loro pulpiti da bulli, che non è la traduzione del rooseveltiano “Bully Pulpit” ma ci siamo capiti. Anche perché più costoro dicevano enormità più raccoglievano consensi e più cementavano il potere. 

Oggi le cose sono cambiate. Non ci siamo ancora liberati del tutto di quella minaccia, ma cominciamo ad assistere ai postumi della sbornia populista (benvenuti Joe Biden e Mario Draghi). Non si arresta, invece, questa prevalenza degli offesi, un’egemonia culturale sempre meno di nicchia che si traduce nelle campagne di umiliazione pubblica di cui scrive la Soncini. Chi usa parole inappropriate o esprime idee scandalose non va (ancora) in carcere, anzi popola i talk show e siede alla Camera o al Senato, ma è come se la facoltà di dire cose capaci di irritare il comune senso della suscettibilità fosse consentita soltanto agli impresentabili, ai paria, a chi è considerato ai margini della società civile e che comunque non inviteresti mai a cena.

Per tutti gli altri c’è da stare all’erta, «Under His Eye». Al tizio perbene che tanti anni fa si è vestito da Miles Davis ad Halloween o al direttore di giornale che ha ospitato un editoriale di un senatore repubblicano non viene certo tagliata la testa come nell’Arabia Saudita dei wahabiti o nella Gilead della Atwood, gli viene solo tagliata metaforicamente. Quel presentabile diventa impresentabile seduta stante ed è meritevole di perdere il posto di lavoro, di perdere la dignità e di perdere il diritto di esprimere qualsiasi opinione, senza spiegazioni né pietà perché bisogna colpirne uno per educarne cento e poi occuparsi anche dei cento, perché in fondo, come direbbe Piercamillo Davigo se si occupasse di questi temi, non esistono innocenti, esistono solo suscettibili non ancora offesi.

Insomma, quasi senza accorgercene, ci stiamo trasformando in una società di umiliati dagli offesi. Il compito degli intellettuali non può essere quello di alimentare questa suscettibilità e di promuovere la cancellazione del pensiero diverso, ma di far capire all’opinione pubblica che cosa sta succedendo e quali sono i rischi che corriamo. Orwell e Atwood ce lo hanno spiegato. Ora tocca alla Soncini.

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Articolo pubblicato su Linkiesta Paper in edicola a Milano e Roma dal 4 marzo, oppure ordinabile qui (arriva con corriere entro due giorni).

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