La seconda ondata della pandemia ha messo in difficoltà Estonia, Lettonia e Lituania che, per buona parte del 2020, avevano gestito nel migliore dei modi l’avanzata del virus SARS-CoV-2. I dati sull’incidenza del Covid-19, raccolti dallo European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC) ed aggiornati al 4 marzo, parlano chiaro. Il tasso di incidenza dell’Estonia, nelle ultime due settimane, ammonta a 1038 casi su 100mila abitanti, quello della Lettonia si attesta a quota 494 mentre quello della Lituania supera di poco i 292 casi su 100mila abitanti.
Il dato di Tallinn è molto preoccupante ed in Europa è secondo unicamente a quello della Repubblica Ceca, mentre quello di Riga, seppur alto, sta sperimentando un lieve declino che, però, non giustifica un allentamento delle restrizioni in vigore. La Lituania, alle prese con un lockdown duro dal 7 novembre, ha iniziato a liberalizzare le condizioni di vita nel Paese ed a consentire la ripresa di alcune attività che si svolgono all’aria aperta, e delle lezioni ed esami di guida.
I Paesi Baltici avevano adottato un approccio simile per contenere il Covid-19 nel corso dei primi mesi del 2020. Proclamazione dello stato di emergenza, distanziamento nei luoghi pubblici, chiusura delle attività di ristorazione e di svago, chiusura dei confini nazionali e soprattutto ricorso ai test diagnostici su larga scala ed imposizione di una quarantena di 14 giorni a chi faceva ritorno dall’estero. Dal punto di vista fiscale, invece, erano stati lanciati pacchetti di aiuti economici in grado di risollevare le condizioni delle fasce di popolazione più colpite dalle chiusure ed era stato annunciato un coordinamento regionale in questo ambito. A giocare in favore dei Paesi Baltici, almeno in una prima fase, è stata la loro marginalità del punto di vista geografico e la scarsa densità abitativa del territorio nazionale.
Le nazioni confinano perlopiù con la Federazione Russa, le cui frontiere sono chiuse dal marzo del 2020 e dispongono di (relativamente) pochi collegamenti aerei internazionali. Quando si è iniziato a chiudere, dunque, il virus era ancora poco presente e la sua circolazione è stata stroncata sul nascere. La riapertura dei confini tra i tre Stati baltici, avvenuta il 15 maggio del 2020, sembrava aver segnato un definitivo ritorno alla normalità e la sconfitta del virus. Nel corso dell’estate le nazioni baltiche hanno imposto restrizioni ai viaggiatori provenienti dai Paesi europei più colpiti dal Covid-19 e non essendo mete del turismo di massa (o sfrenato) sono stati risparmiati dalle problematiche sperimentate in luoghi come Grecia, Malta e soprattutto Spagna, da dove è nata la seconda ondata che ha travolto l’Europa.
La situazione è iniziata a peggiorare con l’arrivo dell’autunno che, qui come altrove, ha segnato l’inizio di un lungo e difficile periodo di convivenza con il virus. Le ragioni di questo sviluppo parrebbero essere molteplici. Il successo del contenimento primaverile potrebbe aver portato ad una sottostima del rischio legato al virus SARS-CoV-2 ed in una prima fase, quando il quadro appariva incerto, potrebbero non essere stati seguiti quei comportamenti necessari a mitigarne la diffusione. La rigidità del clima ha inoltre spinto la socializzazione dai luoghi aperti a quelli chiusi, che possono rivelarsi vere e proprie incubatrici del virus.
Il freddo, nei Paesi Baltici, arriva molto prima che in altre parti d’Europa, è più persistente e si tramuta in gelo per molto tempo. Tallinn, è bene ricordarlo, si trova alla stessa latitudine di San Pietroburgo mentre la Lituania, è la nazione “più meridionale” delle tre. Le persone hanno iniziato ad incontrarsi nei locali pubblici al chiuso e nelle case, magari poco areate, esponendosi al contagio. Tra il mese di ottobre e quello di marzo, infatti, è molto più probabile contagiarsi con i patogeni responsabili di malattie respiratorie e lo stesso sta accadendo con il virus SARS-CoV-2. Il freddo non è di per sé responsabile delle malattie respiratorie ma un certo indebolimento del sistema immunitario legato a questa condizione climatica può favorirlo. Non è un caso, infatti, che nei climi temperati la pandemia tenda a riprendere vigore quando l’estate volge al termine (come accaduto in America Latina).
A peggiorare il quadro ci si sono messe anche le varianti, in primis quella britannica, che hanno contribuito a far mutare il virus e le prospettive. Liene Cipule, a capo del Servizio Medico di Emergenza della Lettonia, ha recentemente lanciato l’allarme in merito alla presenza di varianti di Covid-19 più contagiose nell’area di confine tra Estonia e Lettonia. In questa zona gli ospedali sono saturi o congestionati e questi dati non lasciano presupporre nulla di buono sulla tenuta del sistema sanitario. La situazione non è migliore in Estonia dove il Primo Ministro Kaja Kallas (del partito di centrodestra Reform) ha lanciato l’allarme sulla situazione epidemiologica e sul fatto che il virus è ancora molto potente e si sta trasmettendo con facilità.
Tallinn ha annunciato l’introduzione di nuove restrizioni per far fronte a quanto sta accadendo come la chiusura di ristoranti, cinema, piscine e teatri e la limitazione delle lezioni scolastiche in presenza tranne che per gli alunni più giovani. Basterà? Probabilmente no dato che l’unico modo per fermare sul nascere un’onda pandemica è quello di imporre un lockdown immediato in grado di spezzare le catene del contagio. La diffusione della variante britannica rischia di mettere in crisi l’area del Baltico, come confermato indirettamente dal primo ministro lettone Krisjanis Karins. Karins ha dichiarato che la variante potrebbe rendere insufficienti le restrizioni in vigore e costringere le autorità ad adottarne di nuove.
Lo stato di emergenza continua ad essere in vigore almeno fino al 6 aprile e le riaperture previste non potranno avere luogo in assenza di un miglioramento epidemiologico. Lo scenario, preoccupante, potrà peggiorare o meno in base alla capacità del Covid-19 di trovare terreno fertile nella popolazione residente e nel livello di immunità sviluppato nei confronti del virus ed alla velocità con cui procederà la campagna di vaccinazione di massa. Un problema comune, quest’ultimo, a tutto il Vecchio Continente.