Cheers!L’arte della distillazione

Tra cotte, bacche di ginepro e botaniche sveliamo i segreti di come un alcool neutro possa trasformarsi un un bicchiere di gin aromatico e inebriante

Abbiamo attraversato il tempo, viaggiato nei secoli per scoprire la storia del Gin, dall’antichità sino ai giorni nostri, tra arcaici esperimenti e più moderne tecniche, fino alla rivoluzione industriale e alla concezione del Gin come oggi lo intendiamo. Eugenio Belli, di Eugin Distilleria Indipendente, il nostro giovane e sapiente mastro distillatore, ci ha raccontato di come il Gin nasca dall’alcool distillato con erbe botaniche di vario genere, bacche di ginepro, spezie, foglie, radici. Nelle Fiandre assistiamo alla prima virata verso una modalità moderna di produrre Gin, ma fino all’Ottocento siamo di fronte ad un prodotto molto grezzo. Le cotte vengono eseguite in alambicchi simili a quelli dell’antichità, attraverso una distillazione discontinua, che richiede ogni volta il carico dello strumento, l’accensione, la distillazione e, una volta svuotato, l’iterarsi della stessa operazione. L’alcool di partenza non è raffinato e nemmeno pulito, ragione per cui necessita di un utilizzo massiccio di botaniche e zucchero, per coprire i difetti grossolani della materia di partenza.

 

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Il passaggio in Inghilterra peggiora ulteriormente le cose, come già narrato, perché questa bevanda, facile e a buon mercato, trova un mercato enorme nella massa di popolazione povera che abita la capitale inglese, Londra. Si diffonde l’abitudine di produrre moltissimo Gin di scarsissima qualità, che rendeva molto ma contribuiva a creare disagio sociale e un evidente danno alla salute. Il Gin porta per molto tempo il fardello di una pessima reputazione, proprio perché la produzione non investiva sulla qualità e se pensiamo che il consumo medio era di quattro galloni a testa per anno (circa 16lt) ben capiamo l’entità del fenomeno di cui stiamo parlando.

Bisogna attendere la rivoluzione industriale per assistere ad una vera svolta in materia di Gin.

Molti Paesi si contendono il titolo di inventori dell’alambicco moderno, ma la storia vuole che l’alambicco a colonna, o Coffey still, nato per distillare i liquidi in modalità continua, sia stato inventato in Irlanda da Aeneas Coffey, da cui prende il nome. Scoperta che nacque dal suo desiderio di ottenere un prodotto più raffinato, elegante, pulito.

Un alambicco che non si spegne mai, una specie di “fonderia alcoolica”, fatto di due colonne parallele, una con funzione di analizzatore e l’altra di rettificatore, in cui la seconda è in realtà la parte coinvolta nel generare la magia della distillazione. La colonna è molto alta, con vari livelli, e a ciascun livello corrisponde una gradazione di purezza differente. Più si va in alto e più si ottengono le parti volatili della distillazione, fino a poter estrarre alcool puro.

La vera rivoluzione risiede dunque nella possibilità di ottenere una base alcoolica neutra, che permette di usare le botaniche nel modo corretto, senza saturare il sapore e di eliminare completamente lo zucchero, ecco perchè Dry, arrivando finalmente in bottiglia, contenitore che permette di abbandonare i sentori lasciati dal legno delle botti e di assaporare il prodotto in tutta la sua purezza.

La normativa europea riconosce in maniera univoca tre stili di Gin.

Il primo, “bevanda spiritosa al ginepro”, denominazione alquanto bizzarra che indica una bevanda con sapore prevalente di ginepro.

Il secondo, “London Gin”, accompagnato da Dry. Prodotto che può ovviamente essere distillato ovunque e non solo a Londra (fuorviante la nomenclatura), ma è importante la modalità di produzione. La normativa prevede che le botaniche debbano essere utilizzate in distillazione e che poi nulla possa essere aggiunto. Eventualmente solo acqua o alcool (per venire incontro sia alle distillerie artigianali che industriali). Si parla di single shot, ogni cotta è un lotto. Lavorando su scala più industriale, è possibile utilizzare nella stessa quantità di alcool una quantità di botaniche molto più elevata rispetto alla normale, in modo da ottenere un concentrato. Poi con l’aggiunta di parti di alcool, si vanno a creare lotti più consistenti, garantendo di avere un prodotto con le medesime caratteristiche. Questa è la sostanziale differenza rispetto ad un distillato più artigianale, dove le diversità di nota e sfumatura tra una cotta e l’altra rappresentano il valore del prodotto.

Dipende molto anche da cosa si aspettano i consumatori, se costanza nel tempo oppure la sorpresa organolettica che si cela dietro una lavorazione più manuale, artigianale.

Tutti gli ingredienti utilizzati per la produzione del London Gin Dry devono essere veri, aromi naturali derivati da botaniche vere. Questi ingredienti diventano il segreto di ogni cotta, così che una bacca di ginepro più datata o più fresca, una melissa di diversa coltura, possono conferire al Gin una sfumatura che ne identifica un tratto distintivo.

Parte del lavoro del mastro rettificatore è quella di contenere la variabilità, senza mai ingabbiare le molteplici manifestazioni della natura.

Il terzo, Gin distillato, prodotto in cui cambia molto poco. I parametri di purezza dell’alcool rimangono gli stessi, quello che varia è che nella fase successiva alla distillazione si possono aggiungere aromatizzanti. Come nel caso dello Sloe Gin, la versione di Eugenio di un classico della liquoristica britannica, ottenuto tramite macerazione di prugnole selvatiche in una versione del Gin  Numero 7 appositamente distillata per questa ricetta. Gli aromi più tipici del Gin passano in secondo piano, per lasciare spazio all’intensità di queste bacche autunnali, che conferiscono avvolgenti sentori di frutta e di mandorla.

Una categoria che invece esiste ma non è regolata da normativa è quella dei Compound Gin, retaggio degli anni del proibizionismo. Il processo consiste in una semplice miscelazione di botaniche, selezionate per conferire gusto e aroma all’alcool, senza alcuna distillazione. Dunque un processo che avviene senza il calore, ma attraverso macerazione, procedimento che non cambia il sapore della sostanza. Mentre il calore che sprigiona l’alambicco, fa sì che ogni erba subisca un cambiamento e possa esprimere il meglio della propria essenza. Il ginepro deve incontrare il calore per regalare soddisfazioni, e per conferire complessità al prodotto.

Il calore è la vera chiave di lettura di un distillato, perché è quell’elemento che permette alla bevanda di non essere un assemblaggio di sentori e sapori, ma l’essenza derivata dalla fusione di elementi che nel processo di distillazione diventano parte uno dell’altro, creando una vera magia.

Tendenzialmente possiamo distinguere un Compound rispetto a un Gin dal colore (se presente parliamo del primo, dal momento che il Gin è sempre trasparente). Spesso poi si riconosce l’aggiunta di essenze, che rendono invitante il profumo ma che scompaiono velocemente lasciando un prodotto privo di qualsiasi caratterizzazione.

Importante quando si acquista una bottiglia di Gin, come di qualsiasi altra cosa, è l’etichetta, che deve essere chiara e comprensibile. Se così non fosse, è sempre importante chiedere una scheda tecnica e verificare con il venditore, o con il fornitore direttamente, la tipologia del prodotto.

Ormai queste lezioni sono diventate un appuntamento imprescindibile della settimana, e come in una serie di Netflix, attendiamo il prossimo episodio, per capire le differenze tra un prodotto artigianale e uno industriale (facendo particolare attenzione al termine “artigianale”).

In attesa di ciò che verrà, rimane il gusto di questo giovane artigiano, appassionato e poliedrico,  integralista nel processo produttivo: per lui è un alambicco di rame che si scalda, è London Dry ed è single shot. Perché il fascino degli ingredienti che si trasformano nella distillazione in alambicco, assumendo sembianze inaspettate e sorprendenti, rimane il fulcro di un mestiere senza tempo, che Eugenio porta ai giorni nostri con il piglio di un artista e con un entusiasmo che rimane l’ingrediente più importante di tutto questo affascinante mondo.

 

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