Pan di Spagna o al massimo savoiardi imbevuti di Alchermes, strati di crema pasticcera, una spruzzata di cioccolato. La fa facile, la zuppa inglese, ché lei è un po’ ruffiana e piaciona: se hai la teglia davanti e chi l’ha preparata ha calibrato bene le dosi, la teglia poi non deve manco essere passata in lavastoviglie. Meno semplice è stabilire da dove venga questo dessert definito dalla gastronoma britannica Elizabeth David nel libro Italian Food, del 1954, «uno scherzo esuberante» nonché un «trifle (il suo corrispettivo, un dolce inglese stratificato allo stesso modo, Ndr.) fin troppo glorificato».
Parecchie regioni italiane, incluse Emilia-Romagna e Toscana, lo rivendicano come proprio, ma alcuni non osano mettere in dubbio le sue origini britanniche, adducendo a un’appropriazione da parte di espatriati nel XIX secolo a Firenze. D’altronde la somiglianza col trifle è talmente sorprendente da rendere plausibile sia il nome “zuppa inglese”, per l’appunto (che tradotto letteralmente sarebbe English soup e suonerebbe piuttosto bizzarro in terra d’Albione), sia le ipotesi circa le sue radici anglosassoni.
Leggere per credere: nella pagina di Wikipedia dedicata alla zuppa inglese, alla voce “storia”, si contano in totale sei teorie, tutte ugualmente ammissibili e ragionevoli. Qualche anno fa la scrittrice, giornalista e blogger Emiko Davies s’è addentrata tra i suoi impenetrabili misteri, e il risultato è stato un interessantissimo articolo pubblicato su The Florentine.
Davies parte innanzitutto dalla parola zuppa: «Mentre la zuppa inglese appare per la prima volta nei libri di cucina di Thomas Dawson del 1585, The Oxford Companion to Food (l’enciclopedia sul cibo curata da Alan Davidson, Ndr.) osserva che il ricettario del 1557 del cuoco rinascimentale Cristoforo di Messisbugo (scomparso nel 1548) include la zuppa magra inglese. Il nome di questa miscela di radici di prezzemolo stufato in un brodo di carne addensato all’uovo, versato su fette di pane e cosparso di cannella e zucchero potrebbe riflettere che la zuppa – dal latino antico basso suppa – come il sop inglese si riferisce al pane imbevuto di liquido».
Poi c’è la parola inglese, portatrice di altrettanti miti: «In Pasta: The Story of a Universal Food, Silvano Serventi e Françoise Sabban ricordano l’inverosimile leggenda che pone la zuppa inglese di fronte al duca Cosimo I de’ Medici nel 1552, a Siena. Una volta a Firenze, la “zuppa del duca” era così apprezzata dai molti espatriati inglesi della città che divenne nota come zuppa inglese».
Nell’Oxford Companion to Sugar and Sweet, probabilmente il libro più complete e approfondito mai scritto sui dolci e sul nostro rapporto con l’idea di dolcezza, la zuppa inglese viene definita «la versione italiana del trifle britannico», e il luogo della sua nascita circoscritto a Napoli. Si sostiene che fosse stata servita alla fine del Settecento durante un banchetto offerto dal re Ferdinando IV di Napoli in onore dell’ammiraglio inglese Horatio Nelson. Un aneddoto affascinante ma piuttosto dubbio vede il dolce di pan di Spagna tristemente raffermo rianimato in fretta e furia con del rum e stratificato con crema pasticcera, dopo che un cameriere maldestro aveva lasciato cadere il dessert “ufficiale” destinato all’ammiraglio, incalzato dalla cucina a suon di «Porta questa zuppa all’inglese!», e da qui il nome della nostra beniamina.
In The Englishwoman in Italy, l’avvincente racconto del 1860 dell’espatriata britannica Gladys Gretton, la zuppa inglese è una specialità regionale delle Marche. Descrivendo un matrimonio di campagna ad Ancona e confrontando la cultura britannica con quella italiana, una Gretton molto perplessa osserva che la zuppa inglese prende il nome dalla passione nazionale britannica per l’alcol, ma per il resto non lascia intendere che sia altro che un dessert locale.
Tuttavia, il nome più verosimilmente deriva dall’utilizzo della crema inglese (detta anche crème anglaise), ossia la crema pasticcera realizzata senza amido né farina. In quella sarebbe diventata la bibbia della cucina italiana, La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene del 1891, il romagnolo Pellegrino Artusi include la zuppa inglese nella tradizione dolciaria toscana, sottolineando che la crema inglese usata dai toscani, sebbene più delicata, è troppo liquida per il dessert. Al suo posto preferisce quindi la crema pasticcera, che – essendo addensata con amido – gli permette di sformare la sua zuppa dalla teglia. Nota a margine: nella ricetta di Ada Boni contenuta in The Talisman Italian Cookbook del 1920, considerata la “versione romana”, s’immerge il pan di Spagna nel rum e nella crema al cacao, dopodiché si procede alla stratificazione con crema pasticcera, frutta candita, meringa.
Sebbene l’Artusi attribuisca origini britanniche a tante ricette – come lesso all’inglese, il ribes all’inglese, le mele all’inglese e i quattro quarti all’inglese – non fa alcun riferimento alla zuppa inglese in quanto di origine britannica. Fatto curioso, dato che tutte le sue ricette di origine britannica sono designate contengono appunto la specifica “all’inglese”. Certo, probabilmente si tratta solo di una dolce coincidenza: immergere il pan di Spagna nell’alcool e farcirlo con crema pasticcera, del resto, è un’idea da leccarsi i baffi ma non completamente originale. Si pensi al babà al rum napoletano, al tiramisù trevigiano, alla cassata siciliana.
Come osserva la scrittrice di cucina Gillian Riley in The Oxford Companion to Italian Food , «Dall’immergere torte o biscotti in un vino da dessert, a creare degli strati farciti con crema pasticcera o crema e a metterli nel piatto, il passo è stato davvero breve». Quindi, se siamo arrivati fin qui, chi se ne importa di fissare con precisione millimetrica una data e un luogo: Giulia – romagnola nata a Cervia, in provincia di Ravenna – da tempo vive a Londra, fa la chef e sul suo profilo Instagram e sul suo blog riporta fedelmente le ricette che la nonna Luisa aveva pazientemente scritto a mano, e che altrimenti sarebbero andate perse. C’è pure la zuppa inglese, che in un certo senso la rappresenta benissimo: un po’ italiana, un po’ britannica, con una storia alle spalle che è una meraviglia ascoltare.