Enrico Letta nel suo discorso di investimento a segretario del Partito democratico si è radicalmente dimenticato della lezione che gli viene dai Grünen e dell’ambientalismo nordico. E questo proprio nel giorno in cui i Verdi tedeschi nelle elezioni in Baden Württemberg hanno preso il 32,6%, a fronte di un misero 11% dei socialdemocratici, e si preparano a uscire trionfanti – e perno del governo – alle prossime elezioni politiche tedesche di settembre.
E anche mentre i Verdi sono al governo in Austria e un fenomeno simile si è verificato in una Francia nella quale alle ultime europee i Verdi sono diventati il primo partito della gauche e hanno trionfato nelle ultime comunali del 2020.
Nonostante questo, nel discorso di investitura del neo segretario, stranamente, c’è stato solo un cenno al clima e nulla sull’ambientalismo, a dimostrazione che nel Partito democratico si è tetragoni a capire che in Germania, come in Austria e in Francia la crisi inarrestabile dei partiti del Pse è controbilanciata solo da una ascesa prepotente a sinistra degli ambientalisti per una ragione che riguarda esattamente il tema dei rapporti tra il Partito democratico e il Movimento cinque stelle.
Ragione che è felicemente sintetizzata dalla europarlamentare tedesca dei Grünen Alexandra Geese che spiega che «l’ambientalismo non è pre industrialismo» e che la differenza è tra un ambientalismo dei “sì” e uno sterile ambientalismo dei “no”.
In altre parole, i Verdi nordici hanno saputo imporre controlli e limiti ecologici allo sviluppo industriale e energetico, non l’hanno affatto ostacolato o boicottato come fanno gli ambientalisti italiani, Cinquestelle inclusi (e non bisogna dimenticare che con Joschka Fisher ministro degli Esteri della Germania nel 1998 hanno mandato la Lutwaffe a bombardare Belgrado, una lezione di stile e coerenza).
Definire, come vuole fare Enrico Letta “i termini di una alleanza” con i Cinquestelle, significa entrare a gamba tesa su due elementi fondanti della loro identità: il giustizialismo e un ambientalismo intriso della cultura pre industriale (che spacciano con discorsi astrusi e messianici per post industriale) e all’insegna di una pervicace politica dei “no”.
Enrico Letta lo sa, ma sarebbe stato meglio avesse posto da subito le basi di questo chiarimento che comunque è inevitabile. Tanto più che la svolta imposta al Movimento da Beppe Grillo, per fargli accettare l’ingresso nel governo Draghi, sembra un trucco di scena da guitto.
L’avvio di un Ministero della Transizione Ecologica e il suo appuntamento messianico al 2050 possono infatti dire tutto o nulla. Il problema è nella scelta delle strategie, sulle quali ovviamente Grillo glissa e che sono quelle loro di sempre: no a tutto, dalla Gronda di Genova in su.
Il problema che Enrico Letta dovrà porre ai Cinquestelle per allearsi è quello di stabilire se sono d’accordo o no col Partito democratico con l’impianto dei termovalorizzatori per risolvere il problema dei rifiuti. Il Partito democratico è per i termo valorizzatori. Loro non lo sono.
Se sono d’accordo o no sul via libera alle trivelle italiane nell’Adriatico (dove tutti gli altri stati rivieraschi trivellano). I dem sono d’accordo. Loro non lo sono.
Se la smettono di pensare che l’Ilva deve diventare un parco giochi e smettere di produrre acciaio. Non la smettono. Il Partito democratico invece lavora a una soluzione industriale.
Se sono d’accordo strategicamente, non perché è troppo tardi, sulla Tav e sulla Tap. Il Partito democratico le vuole. Loro no.
Se sono d’accordo con le Olimpiadi in Italia. I dem le vogliono. Loro le hanno affossate.
Se sono d’accordo con lo stadio della Roma. Hanno affossato anche questo.
Se la smettono di credere che il problema della viabilità si risolva con i monopattini che hanno finanziato con incredibili contributi a pioggia: non lo faranno.
Luigi Di Maio e soci non hanno avuto nessuna difficoltà a passare da Fidel Castro e Maduro alla fedeltà cieca all’Alleanza Atlantica, perché non costa nulla e loro «sono il nulla» (copyright Carlo de Benedetti). Ma due anni e mezzo di gestione del Ministero dell’Ambiente tramite il generale Sergio Costa dimostrano di quale pasta sterile e distruttiva è fatto il loro ambientalismo del “no”.
Non stupisce che il confuso Nicola Zingaretti e l’ingraiano Goffredo Bettini non si siano neanche accorti di queste discriminanti. Ora spetta a Letta affrontarle e imporle ai Cinquestelle.