In più passaggi del suo discorso di ieri, Enrico Letta ha citato il tema dell’innovazione e della “cittadinanza digitale”, non solo a proposito della straordinaria occasione d’investimento rappresentata dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), ma anche con riferimento al tema della nuova regolazione europea.
In questo, vi è un passo in più rispetto a quanto, ad esempio, lo stesso Mario Draghi aveva detto in Parlamento nella dichiarazione di richiesta di fiducia al suo governo. In particolare, il neosegretario del Partito democratico ha posto un tema sul quale, verosimilmente, tutte le forze politiche presenti in Parlamento possono concordare: la sfida di come definiamo la cittadinanza digitale nella “dialettica tra potere e libertà”.
La trasformazione digitale in atto nell’economia e nella società ci offre opportunità enormi. Innanzitutto, nell’accesso alle informazioni: vale per i cittadini e vale per le imprese nei mercati. La maggiore disponibilità d’informazioni e la facilità con cui accedervi fa compiere un salto enorme alla partecipazione economica ai mercati, in una prospettiva globale, e alla partecipazione politica e democratica. Tuttavia, sotto l’entusiasmo dell’innovazione, siamo entrati in questa trasformazione senza aver avviato una riflessione profonda sulle regole e sui percorsi lungo i quali vorremmo sviluppare e accompagnare l’evoluzione della nostra cittadinanza digitale.
È un tema che è stato posto al centro dell’agenda europea dalla presidente Ursula von der Leyen e sul quale anche il Parlamento italiano deve interrogarsi e interrogare la società sotto due direttrici. La prima: come far sì che la potenza digitale mantenga assetti democratici e di libertà di espressione e partecipazione senza tradursi in forme invisibili di potere e in dominio, anche geopolitico, delle strategie di disinformazione. La seconda: come garantire che lo sviluppo del capitalismo digitale non si traduca, per usare le parole di Enrico Letta, «in forme irreversibili di concentrazione economica».
Nel capitalismo digitale, questo tema ripropone, seppur in forme nuove, la dialettica tra libertà e potere che abbiamo conosciuto nel capitalismo del Novecento. E ciò riguarda sia le libertà economiche (tanto dei grandi intermediari globali quanto di imprese tradizionali, i cui prodotti e servizi sono intermediati dalle Big Tech), sia la libertà d’espressione nel web. Significa mettere al centro la questione del dato come bene economico e la profilazione del dato come strumento di vantaggio competitivo e di innovazione digitale.
Questo tema incrocia il Pnrr perché la digitalizzazione è il grande fattore abilitante che caratterizza la maggior parte dei progetti presentati nella digitalizzazione della Pubblica amministrazione, nella transizione ecologica, nella nuova formazione, nel turismo, nella tele-medicina.
Uno dei punti deboli di tutto l’impianto di prevenzione alla diffusione della pandemia nel nostro Paese ha riguardato, lo sappiamo, le politiche di identificazione dei luoghi del contagio e le connesse modalità di tracciamento, nonché, per molto tempo, la disponibilità dei dati esistenti e la loro stessa raccolta. La questione della “politica del dato” sta al centro della cittadinanza digitale e della definizione delle cosiddette “evidence-based policy”, cioè del disegno di politiche pubbliche basate sull’evidenza empirica. Vale per le politiche pubbliche, ma vale anche per le strategie d’impresa, per la formazione dei lavoratori e per la valorizzazione del loro apporto in contesti economici caratterizzati oggi da frammentarietà e da rapporti d’impiego occasionali.
Solo mettendo al centro una politica del dato possiamo affrontare compiutamente il tema della cittadinanza digitale. Ha quindi ragione Letta quando ricorda che dobbiamo promuovere una cittadinanza digitale a livello europeo, «perché solo l’Europa tra Stati Uniti e Cina può aiutare a mettere la persona al centro della trasformazione digitale». Ma questo progetto deve oggi passare da una riflessione urgente, del Parlamento tutto, sulle proposte di regolazione dei grandi intermediari digitali avanzate in Europa e che tra poco inizia il suo iter al Parlamento europeo.
In particolare sono tre gli assi di “nuova regolazione” a livello europeo che incideranno profondamente sul mercato unico europeo: il Digital Services Act, che disciplina le modalità con le quali i grandi intermediari del web determinano le regole di accesso e moderazione dei contenuti online, nonché la profilazione del dato e la relativa valorizzazione commerciale; il Digital Market Act, che propone una regolamentazione tipizzata su talune strategie commerciali; il Data Governance Act, che, pur concentrandosi sul tema dell’accesso ai dati pubblici di proprietà di terze parti, introduce alcune importanti innovazioni come l’ingresso di soggetti terzi indipendenti che agiscano come intermediari dei dati.
Questi tre pilastri indicano una strada importante ma contengono anche rigidità e criticità che vanno affrontate. Il Pnrr, da questo punto di vista, costituendo lo strumento principe per gli investimenti digitali del prossimo decennio in Italia, rappresenta l’occasione che non va sprecata anche per aprire questo dibattito nel nostro Paese. Ciò è ancora più importante nel momento in cui Germania, Francia, Austria, per citare i primi che si sono già mossi, stanno scegliendo strade autonome che renderanno più difficile l’armonizzazione a livello europeo.
La questione della cittadinanza digitale passa, infine, anche dal completamento della infrastrutturazione digitale del Paese, affinché nessuno, come avvenuto nel corso di questa pandemia, resti “disconnesso”. Costruire una cittadinanza digitale è oggi diventato un tema fondamentale anche per la coesione sociale e la non discriminazione. Significa anche mettere al centro una profonda trasformazione della Pubblica amministrazione, dalla scuola alla sanità, alla tutela ambientale e alla sostenibilità.
Uno sforzo particolare va svolto sul rafforzamento delle politiche di genere nella transizione digitale. Secondo gli ultimi dati europei (indicatore DESI), i Paesi che hanno maggiore presenza dell’ICT nell’industria e nella società sono anche quelli con maggiore partecipazione femminile. Questo significa che, come Paese, dobbiamo fare il massimo sforzo nel momento in cui ci accingiamo a potenziare la formazione digitale e la trasformazione digitale del sistema-Paese, affinché le condizioni che garantiscono l’esito della parità di genere siano realizzate fin dai primi passi. Cioè adesso.