Mario Draghi, Francesco Paolo Figliuolo e Fabrizio Curcio – il triumvirato che dirige le operazioni – si sono riuniti ieri mattina a Palazzo Chigi per quello che era parso un vertice d’emergenza, un gabinetto di guerra per valutare il da farsi davanti al crollo del “fronte lombardo” e alle persistenti difficoltà di alcune regioni (soprattutto Sardegna, Calabria, Molise, Umbria, ma anche Toscana) nella campagna di primavera contro il Covid. Ma poi da diverse fonti si è gettata acqua sul fuoco, «una normale riunione sulla situazione», e tuttavia l’emergenza è nei fatti e il presidente del Consiglio ha intenzione di azionare tutte le leve a disposizione perché l’Italia è dentro un vortice tremendo, stretta tra scarsezza di dosi e lentezze organizzative. Figliuolo fa affidamento sull’arrivo di un milione di vaccini Pfizer già oggi ma non basta. Bisogna agire ora.
I fronti sono tre. Affidare a Esercito e Protezione civile il compito di supportare tutta la campagna di vaccinazione aumentando il numero di persone che possano aiutare medici e operatori sanitari a velocizzare le operazioni.
Riportare ordine e coerenza fra le direttive contenute nel Piano vaccini e la concreta attività delle Regioni, evitando che ciascuna vada per conto suo – «così non va bene», aveva detto Draghi nella sua conferenza stampa – e questo è il compito che è affidato alla ministra Maria Stella Gelmini che in settimana incontrerà di nuovo tutte le Regioni.
Infine, il premier ha intenzione di richiamare l’Unione europea a essere intransigente nel pretendere il rispetto dei contratti per la consegna delle dosi pattuite e al Consiglio Europeo di giovedì e venerdì punta a stringere sulla velocizzazione dell’arrivo dei vaccini.
Ma è chiaro che il caso Lombardia domina la scena. Si è superato il livello di guardia. Anziani mai chiamati per vaccinarsi oppure cittadini convocati per sbaglio, Attilio Fontana costretto a chiedere un passo indietro a Aria spa, la società della Regione sotto accusa per i disagi che si sono verificati nella campagna vaccinale, cui lo stesso Fontana aveva chiesto di organizzare le prenotazioni delle vaccinazioni, ma risoltasi in un disastro.
Ieri era circolata persino la voce di un intervento diretto del governo, addirittura di un commissariamento, ipotesi che per il momento l’esecutivo non prende in considerazione. «Ma no, la Lombardia lavora…», si dice negli ambienti del generale Figliuolo.
Però è un fatto incontrovertibile che dal punto di vista politico due partiti di governo – Lega e Forza Italia – da mesi stiano gestendo la Lombardia con risultati da Terzo mondo, e questo è un fatto che seppure indirettamente non depone a favore della maggioranza che sorregge il governo Draghi. Così non va bene, per usare le parole del presidente del Consiglio.
Dice Carlo Cottarelli che «i ripetuti problemi nella gestione della crisi Covid rivelano una generale carenza di efficienza nella gestione sanitaria lombarda. La Lombardia, la mia regione, era un’eccellenza. Purtroppo, non lo è più». La Lombardia è diventata una questione nazionale, un problema nel problema, per il governo di Roma.
Giorgio Gori, il sindaco di Bergamo, l’ha riassunta così: «Troppo facile scaricare la colpa su Aria: chi ha scelto i vertici di quell’azienda? Chi le ha affidato le prenotazioni per i vaccini? Dopo la sostituzione di un assessore e di due direttori generali, e i tristi primati sull’impatto del Covid, è sempre più chiaro che la Regione Lombardia è di fronte ad una Caporetto politica e organizzativa»
Saltano i nervi di Matteo Salvini, il Pd è preoccupato (ne ha parlato ieri Enrico Letta con il presidente del Consiglio), tutto è possibile. Anche che vada a finir bene, il triumvirato è ottimista.