L’artista Turi Simeti è morto oggi a 91 anni di Covid, ha dedicato la propria vita a una pittura rigorosa incentrata sulla figura dell’ellisse, sulla monocromia, sulla tridimensionalità della tela, sul dinamismo, su una spiritualità danzante e luminosa che sempre scaturiva da ragionamenti formali.
Questo ricordo risale a sei anni fa, quando su suggerimento di Christian Rocca chiesi a Simeti di visitare la sua casa-studio.
A casa di Turi Simeti tutti gli angoli erano smussati, quelli dei tavoli, dei lavabi, dei contenitori; smussate e ovaleggianti erano anche le punte delle scarpe di Essila, la moglie di Simeti anche lei colpita dal Covid. Mi sentivo circondata da ovali, per terra, sul muro, in bagno, in cucina. Col dito Simeti m’indicò una libreria: «Ti mostro una cosa». «Che cosa?» chiesi incuriosita. «Ovali di tutte le dimensioni» rispose ridendo. Guardai oltre il vetro della finestra: Milano scompariva, compariva un ovale.
Turi Simeti era un uomo alto e ben piantato, vestito di rosso acceso, in quell’occasione, la camicia a scacchi slacciata nei primi tre bottoni. Portava gli occhiali di sempre, un paio di larghi Vanzina – mi precisò la figlia Martina. Simeti nacque ad Alcamo, in provincia di Trapani, nel 1929; studiò legge fino a che, decisosi a diventare artista, si trasferì a Roma, dove visse presentando porta a porta il dépliant dell’Enciclopedia Universale dell’Arte. Una porta si aprì su Alberto Burri che comprò l’Enciclopedia e per alcune ore rapì Simeti al suo impiego di venditore: lo invitò a visitare il proprio studio, gli mostrò le opere. Un altro giovane, Robert Rauschenberg, aveva già visitato lo studio di Burri pochi anni prima; con sacchi, legni e plastiche negli occhi, Rauschenberg rientrò in patria e cambiò l’arte americana per sempre. Anche la vita di Simeti cambiò: uscì dallo studio di Burri con un accendino in mano. Bruciacchiando gli angoli di piccoli cartoni rettangolari, Simeti incontrò l’ovale.
Da quel momento, per più di cinquantacinque anni, Turi Simeti ha dipinto in acrilico quadri monocromi occupati dalla sola figura ovale. Lignei gli ovali di Simeti: l’artista li saldava alle assi del telaio e ne incollava la superficie al retro della tela. Le ombre ottenute dalla figura in rilievo turbavano l’altrimenti placido monocromo inserendo nella pittura la terza dimensione, lo spazio; la scultura s’insinuava nella bidimensionalità della tela, ibridandola.
Nel 1965 Simeti fu invitato a esporre presso Zero Avantgarde, collettiva allestita nello studio milanese di Lucio Fontana. A Zero Avantgarde esponevano i maestri d’Italia e d’Oltralpe, tra gli altri: il tedesco Gruppo Zero, Hans Haacke, la regina dei pois Yayoi Kusama, Agostino Bonalumi, Enrico Castellani e Dadamaino, il cosmico Fontana, il divino Yves Klein e Piero Manzoni, che tra tutti questi artisti era il collante: manico della valigia saldo alla destra, carta da lettere pronta nella sinistra, viaggiava come un pazzo su e giù per la Germania spedendo lettere in continuazione. Turi Simeti trovò ottima compagnia, da Milano a Londra fu tutto un susseguirsi di mostre in prestigiose gallerie tedesche, svizzere, olandesi, inglesi.
Anedottica urbana di Turi Simeti. «Mi racconta della New York anni Settanta vissuta da un giovane pittore italiano?» gli chiesi. «New York? Sciovinista!». «Ah! E Milano?» domandai curiosa. «Milano? Ma quale Milano, gli artisti stavano a Sesto San Giovanni!». Simeti mi raccontò la routine di questa gentrified Sesto: «A Sesto eravamo Bonalumi, Castellani ed io, si andava a pranzo e cena assieme e poi al night club. Solo con Castellani al night; Bonalumi si era già sposato, il brianzolo!». A braccia conserte Simeti continuò la propria storia: «Ora ti racconto tutto…». «No aspetti – lo interruppi – e Roma? Stare a Roma com’era?». «Roma! Finita Zero Avantgarde tornai a Roma, ma Roma era figurativa… Arrivato in città mi chiesi: cosa ci fai qua, Turi? Va’ a Milano!». «Ma quindi alla fine è riuscito ad arrivare a Milano!» esclamai. «Sì sì, ma a Sesto era meglio; si pagava l’affitto regalando un quadro all’anno al proprietario». Simeti incalzò: «Ora ti racconto tut…». Lo interruppi di nuovo: «New York era proprio così sciovinista?». «A New York aiutai Castellani a preparare una personale. All’opening arrivarono in cinque, però poi si presentarono Andy Warhol e Robert Rauschenberg e festeggiammo tutti assieme».
Tra le città più generose e vitali che hanno accolto l’artista sin dalle prime mostre, le tedesche Düsseldorf, Monaco e Francoforte: già negli anni Sessanta la Germania era pronta per i dipinti di Simeti, l’aveva preparata il Gruppo Zero. Gli Zero sostenevano l’azzeramento espressivo come unica via per creare un nuovo linguaggio pittorico che dimenticasse la greve figurazione imposta dalle ideologie. Per spezzare il codice artistico vigente, si specializzarono nell’invenzione di codici estremi, fatti di cubi, luci, spuntoni, vortici, geometrie saldissime. Cosa di più saldo d’un sovrano ovale di Simeti? Dinanzi a 8 ovali bianchi appeso nello studio di Turi Simeti, mi ritrovai a combattere una fuggevole guerra. Il quadro era un monocromo rettangolare bianco su cui erano posizionati otto piccoli ovali in linea continua lungo l’asse orizzontale. Tutti gli ovali presentavano una leggera rotazione che li scompigliava. Inseguivo le ombre tra un ovale e l’altro, mi affascinò la grazia di questa forma che umiliava il puntuto, celibe, rettangolo, senza cadere nella pretenziosità del cerchio, rifuggendo l’arcisimbolismo dell’ottagono.
Simeti iniziò la propria storia d’artista bruciando rettangoli, gli fu subito chiaro che con il rettangolo avrebbe dovuto piegarsi.
Il rettangolo è scomodo: nella storia dell’arte al rettangolo è stato sovrapposto un triangolo (Rettangolo nero, triangolo blu, Kazimir Malevič), è stato inscritto un cerchio (Resurrezione di San Francesco al Prato, Perugino), soprattutto i rettangoli sono stati interrotti e spezzati da foglie, viticci, panni, broccati, sedie, cadaveri e donzelle (Amor sacro e Amor profano, Tiziano). Mai si troverà un rettangolo pigiato addosso a un cerchio né si vedrà il vertice di un rettangolo baciare il vertice di un quadrato; nel caso lo facesse, sarebbe per dar scena. Esistono alcune opere in cui i rettangoli sono inseriti in una composizione di altri rettangoli, penso a Bern-Berlin-hangend di Raoul de Keyser, a Number 88 di Ad Reinhardt e soprattutto a Suprematismo con otto rettangoli di Malevič: questi rettangoli se ne stanno in gruppo come la delegazione d’invitati in smoking a un matrimonio dove il tight è d’ordinanza; non sono a proprio agio, silenti e vicini vorrebbero andarsene ma il pittore per un suo misterioso divertimento, li tiene là.
L’ovale è tutt’altra storia, flirta in continuazione. L’ovale ruotato a sinistra fa piedino al compare di destra e accarezza la testa del compare di sinistra, là dove il rettangolo avrebbe speronato a destra e a sinistra. Figure di falsa docilità, maliziosi e veloci, vicini alla perfezione del cerchio, ma anche traditori di suddetta perfezione, gli ovali di Turi Simeti hanno incarnato soavi angeli ribelli.
Turi Simeti era un uomo luminosamente inafferrabile, con il passare del tempo il suo volto si faceva sempre più ovale.