Per il settore marittimo è forse la virata più difficile da affrontare. Quella della sostenibilità è la sfida delle sfide per i trasporti via mare. Il settore è infatti una fonte crescente di emissioni di gas a effetto serra che causano inquinamento atmosferico, danni all’ambiente e problemi di salute per tutti gli esseri viventi.
Secondo l’European Federation for Transport and Environment (T&E), Federazione europea per i trasporti e l’ambiente, ogni anno in Europa il settore navale immette in atmosfera circa 140 milioni di tonnellate di CO2, pari al 3,1% del totale, oltre a 1,7 milioni di tonnellate di anidride solforosa, 2,8 milioni di tonnellate di biossido di azoto e 195mila tonnellate di particolato. Ovvero quanto 20 paesi europei.
L’Organizzazione marittima internazionale ha tuttavia stabilito nell’aprile del 2018 una strategia per diminuire le emissioni di gas serra del trasporto marittimo di almeno il 50% entro il 2050, attraverso un percorso di riduzione graduale. Pochi mesi dopo, alcuni dei maggiori operatori di settore (tra cui compagnie di carburanti, gestori di scali portuali, banche d’investimento e appunto imprese di spedizioni via mare) hanno invece siglato un accordo per puntare alla messa in acqua entro il 2030 di soli natanti alimentati da carburanti a zero emissioni.
L’accordo, denominato “Getting to Zero Coalition“, riunisce 60 tra le principali compagnie del settore, tra cui AP Moller Maersk che possiede la più grande compagnia marittima di container al mondo, aziende Big Oil come Royal Dutch Shell, scali portuali come quelli di Rotterdam e Anversa.
Sempre nel 2019, un’iniziativa simile aveva riunito alcuni dei maggiori istituti bancari mondiali: con l’introduzione dei cosiddetti “Poseidon Principles“, banche come Credite Agricole, DVB, ING e Societe Generale hanno deciso di integrare gli eventuali sforzi di riduzione delle emissioni tra i principi necessari ad accordare prestiti e finanziamenti alle compagnie di spedizioni marittime.
Mentre dal primo gennaio 2020, per decisione della Imo (International Maritime Organization) è entrata in vigore la “Sulphur Cap” e il limite di zolfo dei carburanti è passato dal 3,5% allo 0,5%.
Insomma, l’impegno c’è. Ma a che punto sono, nel concreto, queste promesse? La pressione sul settore marittimo è alta e dopo che l’Organizzazione marittima internazionale ha annunciato i piani per ridurre in modo significativo la quantità di zolfo che le navi possono emettere, anche l’Unione europea vuole fare la sua parte e punta ad aggiungere i trasporti al suo sistema di scambio di quote di emissioni (Emission Trading System).
Secondo la Commissione europea, l’industria marittima genera circa il 2,5% delle emissioni mondiali di gas serra o 940 milioni di tonnellate di anidride carbonica all’anno. Le alternative alle navi alimentate a diesel o gas naturale liquefatto hanno avuto finora solo un successo limitato, il che significa che, per il futuro prossimo, la navigazione continuerà a fare affidamento sui combustibili fossili.
Nonostante ciò, l’Unione Europea continua a mantenere in vigore la sua Energy Taxation Directive, che all’articolo 14 vieta espressamente ai paesi membri di tassare i carburanti impiegati nel trasporto marittimo. Secondo l’ultimo studio dell’agenzia Ue T&E, così facendo garantisce al settore un “sussidio di fatto” di 24 miliardi di euro all’anno.
La Commissione Europea ha da tempo in cantiere una riforma per mutare questa situazione paradossale e ha indicato l’attuale esenzione di cui godono i carburanti per il trasporto marittimo «in netto contrasto con gli obiettivi ambientali dell’Unione». Ma per cambiare l’Energy Taxation Directive serve l’unanimità dei paesi membri e difficilmente gli Stati ad oggi più “generosi” verso il settore (Olanda, Belgio, Spagna e l’Italia) appoggerebbero l’iniziativa.
Anche per questo Ursula Von der Leyen si sta impegnando per estendere al settore marittimo l’Emission Trading System (Ets) – il mercato delle emissioni, attivo per tutti gli altri settori da ben quattordici anni. Sempre secondo Trasport&Environment, l’Ets applicato ai trasporti via mare genererebbe fino a 7,2 miliardi l’anno di introiti.
L’anno scorso l’Unione europea ha presentato per la prima volta i piani per far pagare agli spedizionieri le proprie emissioni e l’industria ha comprensibilmente preso posizione contro questi piani. Ha sostenuto che l’estensione dell’Ets al settore marittimo era contraria al diritto internazionale. Sfortunatamente per l’industria, la Corte di giustizia dell’Unione europea si è pronunciata contro.
Nel frattempo, un nuovo tipo di nave potrebbe arrivare a solcare gli oceani: quelle a emissioni zero. La società Dnv GL, presentando il suo Libro bianco sulle alimentazioni alternative per le navi, identifica le soluzioni più promettenti in «Gnl, Gpl, metanolo, biocarburanti e idrogeno», ma sotto il profilo delle emissioni il carbon footprint di metanolo e idrogeno è «superiore rispetto a olio combustibile (Hfo) e gasolio marina (Mgo)», mentre, al contrario, il biometano «ha un potenziale estremamente elevato».
La società internazionale di trasporti via mare Kuehne + Nagel ha invece adottato un paio per una logistica sostenibile che mira al Net Zero Carbon. In più, nel 2020 l’azienda Eco Marine Power ha presentato una nave alimentata da un sistema che combina energia solare ed eolica, completa di un’installazione di stoccaggio. La Grimaldi ha commissionato dodici natanti in Cina che verranno ribattezzati con «eco» prima del nome.
La società britannica Windship Technology ha svelato un progetto di nave chiamato True Zero Emission che incorpora l’energia eolica e solare, nonché la tecnologia di cattura del carbonio per le emissioni del motore a combustibile della nave. Infine la multinazionale elettrotecnica svizzero-svedeseship ABB sta lavorando a un sistema di propulsione basato su celle a combustibile per navi passeggeri e cargo. Secondo l’azienda, la tecnologia è più praticabile per le navi a corto raggio.
«La decarbonizzazione dei trasporti marittimi è un enorme problema che non ha una risposta semplice, ma che va affrontato», ha affermato Ben van Beurden, amministratore delegato di Royal Dutch Shell. «Intendiamo far parte della soluzione a lungo termine, a zero emissioni di carbonio, sviluppando le migliore tecnologie in grado di funzionare su scala globale. Iniziare ora è essenziale perché le navi costruite oggi rimarranno sull’acqua per decenni».
Anche sul versante del Mediterraneo qualcosa si muove. Secondo la stima di Ecotransit, trasportare 100 tonnellate di merce da Genova a Barcellona via camion vale 6,27 tonnellate di anidride carbonica nell’atmosfera. Lo stesso carico ma via nave ne pesa per una tonnellata. Ma le flotte del Mediterraneo sono tra le più vecchie e inquinanti e una parte del Recovery fund dovrebbe essere investito per riqualificare anzitutto i porti, puntando sulle energie rinnovabili e su migliori collegamenti con le ferrovie.
Grazie a delle maxi batterie al litio e all’impianto di riciclo del biogas, perlomeno dentro i porti la navigazione sarà elettrica, senza inquinare l’aria delle città di mare con il gasolio bruciato.
Tutto questo, però, ha un prezzo. I trasporti diventeranno probabilmente più costosi, considerando anche l’estensione dell’Ets per coprire il settore. L’avvertimento è arrivato da BIMCO, la più grande associazione marittima del mondo: «Se l’Unione europea implementa un ETS regionale, il trasporto marittimo rischia di essere colpito da più sistemi di scambio di emissioni che renderanno una misura basata sul mercato globale molto più difficile da raggiungere», ha affermato il segretario generale di BIMCO, David Loosley,
Un’altra preoccupazione per gli addetti ai lavori è il graduale allontanamento dal trasporto marittimo di merci: in quanto più costoso, i clienti potrebbero passare ad alternative più economiche ma più inquinanti come i camion.
Il percorso è comunque obbligato: secondo lo studio dell’International Maritime Organization, mantenendo invariata la situazione attuale le emissioni del trasporto marittimo potrebbero aumentare tra il 50 per cento e il 250 per cento entro il 2050 e compromettere gli obiettivi dell’accordo di Parigi sul clima.