Morte di un capitalismo viaggiatore
Il mondo che abbiamo creato è un prodotto
dei nostri pensieri; non può essere cambiato
senza cambiare pensieri.
ALBERT EINSTEIN
Entro da TodoModo con un sorriso da pubblicità di collutorio.
«Voglio fare un pezzo sulla Madre» dico a Benicio irrompendo nel suo ufficio.
«Ma non eri in malattia, tipo per sempre, tu?» mi chiede sospettoso.
«Sono guarito».
«Da cosa?»
«Da tutto, credo».
«È tornato Tobias, eh?» mi fa con l’aria di quello che la sa lunga.
«No, sono io a essere tornato questa volta, da un lunghissimo viaggio».
Benicio alza gli occhi al cielo.
«Ti devo chiedere spiegazioni o posso sorvolare?»
«Puoi sorvolare»
Ne è sollevato.
«Cos’è sto pezzo sulla maternità che mi proponi?»
«Non è sulla maternità, è sulla Madre, la Pachamama».
A sentire nominare la Pachamama, Benicio perde subito le staffe: «Oh, Santo Dio, ma se per colpa tua non facciamo altro che pezzi su foreste abbattute, laghi inquinati e armadilli depressi, cosa c’è di nuovo stavolta?»
Mi siedo alla scrivania e gli rispondo calmo, guardandolo dritto negli occhi: «Vorrei parlare di medicina, di cerimonie, di crescita spirituale, di questo nostro problema incombente».
«Cioè, quale problema?»
«La fine della civilizzazione così come noi la conosciamo».
«Ci risiamo, sempre lì mi finisci» dice battendo una mano sulla scrivania e facendo tintinnare le penne nel bicchiere in cuoio.
So che con Benicio la tecnica più efficace è farlo sentire in colpa: «È molto semplice, se non sei parte della soluzione, sei parte del problema. Tu da che parte vuoi stare?»Benicio sbuffa esasperato: «Sei peggio dei testimoni di Geova».
«Senti, credo che la Madre mi stia dando una chance per essere felice nonostante sia cosciente che stia per andare tutto a puttane, non solo la mia vita privata ma il mondo intero, e non è poco. Vorrei ripagarla ma soprattutto vorrei che anche altre persone ricevessero gli stessi doni, o per lo meno sapessero che potrebbero anche riceverli. Non ci sono solo tenebre davanti a noi, anzi, potrebbe esserci pure un risveglio spirituale collettivo, sai che ti dico. Io ci credo. Oggi, credo a tutto. Se sono cambiato io, che ero una roccia fossilizzata, sono convinto che possano cambiare anche gli altri».
«Non so, mi stai confondendo subdolamente, infiltri dell’ottimismo nel tuo catastrofismo» mi dice con l’aria sinceramente spiazzata.
Io non mollo, continuo a sferzare il mio attacco: «Credo che prendere coscienza dell’imminente fine potrebbe anche rappresentare uno strepitoso inizio. Potremmo persino essere più felici, nonostante tutte le sofferenze che dovremo affrontare. C’è bisogno di calmarsi, di rallentare, di riflettere, di diminuire, di osservare, di rimanere in silenzio e starsi vicini. Non è il momento di competere, ma di condividere. Non dobbiamo separarci per nazioni, classi, religioni, sessi, razze o partiti di appartenenza. È il momento di mettere da parte le differenze per farci forza attraverso la nostra comune umanità, così fragile e così in pericolo. È il momento di chiederci se quello che ci hanno insegnato fino a ora, se i valori dei nostri genitori, il sogno collettivo della società intera, gli obiettivi che ci siamo prefissati fin dai nostri primi, timidi, passi, abbiano ancora un senso per noi e per la sopravvivenza dell’umanità, alla luce del momento storico in cui ci tocca vivere».
«Te l’eri preparato» commenta con un’espressione ironica.
«No, mi esce da solo, non sono neanche certo se sia io o la Madre a parlare. Mi accorgo che non posso dire bugie, al massimo evado la risposta, e non posso più dedicarmi a qualcosa che non abbia senso, sinceramente senso. Per me. O per lei, non lo so. Vedo tutto con molta chiarezza, ora. Vedo cose, poi, che sono state sotto il mio naso per tutto questo tempo ma che non volevo registrare, o affrontare. Ora mi sembra tutto inequivocabile, come due più due».
Ormai non ho neanche più l’impressione di parlare a lui, forse sto parlando a me stesso.
da “La nuova terra”, di Sebastiano Mauri, Guanda, 2021, pagine 416, euro 19