Vola, ColombaCosa c’è di nuovo nel lievitato pasquale

L’Accademia dei Maestri del Lievito Madre e del Panettone Italiano ha dedicato un convegno al dolce della festa di primavera. Dai saperi della tradizione arrivano alcune importanti novità

Dopo l’orgia di panettone, è il momento di pensare alla Pasqua e al suo dolce dedicato: la Colomba. Questo grande lievitato racchiude in sé molti simboli: condivisione, unione, pace e speranza. Ma anche i valori della tradizione e dell’innovazione. Il dolce pasquale che omaggia l’animale simbolo della fratellanza e pace cristiana, vive oggi una profonda trasformazione, grazie anche all’attenzione dei pasticcieri che attraverso l’artigianalità rimettono al centro del prodotto la qualità degli ingredienti, la ricerca di conservanti naturali e una ricettabilità anche creativa.

Il risultato? Secondo i dati riportati da Paolo Sacchetti, membro del Consiglio Direttivo dell’Accademia dei Maestri del Lievito Madre e del Panettone Italiano, il fatturato delle pasticcerie artigianali ha battuto quello dell’industria dolciaria in Gdo, costrette a svendere i dolci delle feste sia a Natale che a Pasqua. «Oggi è l’artigiano che fa il mercato – spiega il pastry chef Achille Zoia durante il convegno La Colomba tra tradizione e innovazione – Con i nostri prodotti e la nostra ricerca, abbiamo costretto l’industria a vendere i propri prodotti a 5-6 euro, mentre nonostante i nostri prezzi, abbiamo la fila fuori dalle nostre botteghe».

Colomba di Pasqua: origini e leggende

La tradizione riporta l’origine della Colomba pasquale alla città di Milano. Qui il pubblicitario mantovano Dino Villani avrebbe avuto l’idea di utilizzare gli stessi macchinari che Motta aveva usato per creare il Panettone, per fare un dolce pasquale. La ricetta partiva dagli stessi ingredienti, aggiungendo la glassa di zucchero e mandorle in cima. Fu così che la Colomba vide la luce.

Ma la tradizione gastronomica nazionale ci dice che i dolci di Pasqua a forma di uccello erano già diffusi. Sulla nascita della Colomba ci sono molte leggende. La prima è quella legata alla figura di San Colombano. Siamo nel 610 d.C.. Ospitato dalla regina Teodolinda, il mistico si sentì offeso dal pranzo offerto a lui e ai pellegrini che guidava in viaggio. Teodolinda e il marito Agilulfo interpretarono il rifiuto come un oltraggio. Allora Colombano accetto di sostare a tavola previa benedizione delle libagioni. Mentre compiva il gesto, sulla sua mano destra venne a posarsi una colomba.

La seconda leggenda risale al tempo di re Albonio. Siamo nel 572 d.C.. Il sovrano aveva valicato le Alpi, pronto ad attaccare l’Italia bizantina. I Pavesi desideravano a tutti i costi evitare la loro furia: per questo regalarono ai guerrieri dei soffici dolci a forma di colomba, un gesto di pace che evitò il saccheggio della città.

Una terza leggenda vuole che le colombe abbiano giocato un ruolo decisivo anche nella battaglia di Legnano. Siamo nel 1176. Un condottiero del carroccio vide due colombi posarsi sulle insegne della Lega ed ebbe l’idea di dare coraggio ai suoi militari, chiedendo ai cuochi della truppa di preparare dei pani a forma di colomba, fatti con farina, lievito e uova.

Passione chimica

La maniacalità nella propria opera è un tratto che accomuna le due fazioni. Parlando di lievito madre, si è tirata in ballo l’emozione, la necessaria attenzione alla gestione della pasta e del processo, oltre che all’interazione con i vari ingredienti. «Troppo zucchero può bloccare la lievitazione – avverte Achille Zoia – Tutto quello che comanda l’impasto e il risultato finale è il lievito madre: bisogna conoscerlo bene perché è lui che comanda». Ascoltando i vari passaggi, possiamo dire con certezza che i pasticcieri sono i veri chimici della gastronomia moderna, capaci di emozionarsi davanti alle imprevedibili reazioni del lievito vivo, con cui come ha spiegato Vincenzo Santoro «è impossibile non stabilire un legame affettivo».

I nuovi trend della Colomba

Angelo Musolino, presidente Conpait, durante il convegno ha detto: «La condivisione delle conoscenze è l’autostrada per crescere e, in questo momento, sappiamo quanto sia importante analizzare, mettere in discussione, migliorare qualsiasi idea, scoperta mettendola a disposizione degli altri». L’Accademia dei Maestri del Lievito Madre e del Panettone Italiano con Conpait e Richemont Club Italia hanno coinvolto quindici Maestri del lievito madre e dell’arte bianca per fare il punto sul dolce pasquale. Sei squadre – tre dedicate alla tradizione e tre all’innovazione – hanno proposto la propria idea di colomba.

La ricetta tradizionale della Colomba dice che per fare il dolce occorrono farina, acqua e lievito madre, miele, vaniglia, uova, zuccheri, acqua e frutta candita (per lo più cubetti d’arancia). Vincenzo Tiri ha spiegato che la candidatura della frutta è diventata una operazione che non delega più a nessuno. Si fa in casa, ad Acerenza, seguendo il metodo francese e utilizzando lo sciroppo di canditura, ricco di oli essenziali per aromatizzare l’impasto delle colombe.

L’amore per i canditi è una novità nel settore. Gli stessi Maestri ammettono di aver avuto difficoltà ad amarli in passato. Prima erano la pena da sopportare per addentare una soffice fetta di Colomba. Ma ora, cercando i più pregiati sul mercato o candendo la frutta artigianalmente, l’equilibrio è cambiato: l’evoluzione della frutta candita e la sua migliore qualità ha portato i consumatori non la scartano più. Anzi, la bramano.

«C’è una fase centrale tra tradizione e innovazione, che è l’evoluzione – spiega il Maestro Vincenzo Santoro – Innovazione è anche l’idea di portare in tavola lievitati tutto l’anno». Infatti, il panettone si è talmente evoluto che si mangia come dolce – o salato per i più audaci – anche al di fuori delle ricorrenze specifiche. A proposito di salato, per l’occasione Antonio Chiera ha presentato una ricetta per veri temerari: nduja, zenzero e olive con semi di lino, girasole e zucca. Osare è anche una cifra stilistica che ogni pastry chef coltiva a modo suo.

«Da trent’anni chi viene da me, ogni anno, è alla ricerca di qualcosa di nuovo, di particolare», spiega Sal De Riso. Daniele Scarpa ha presentato una colomba “piccante”, grazie a un impasto creato con un’infusione di tabacco. Ma la creatività senza freni può produrre mostri: qual è il limite? «Sempre il buonsenso e il buon gusto – dicono i Maestri – noi li diamo come prerequisiti. Fare un lievitato con all’interno del baccalà può essere un’esagerazione». Meglio rimanere nell’ambito della pasticceria.

L’innovazione è anche nell’etichetta. Come spiega il maestro Denis Dianin, fresco di collaborazione con i Nas, «c’è molta attenzione ai grandi lievitati: i controlli sui prodotti artigianali ci sono e sono rigorosi. Quello che un tempo si faceva con un po’ di innocenza e superficialità, oggi va fatto con attenzione». Ne è un esempio l’uso delle uova pastorizzate, ormai normalità nella pasticceria. Il disciplinare della Colomba di Pasqua richiede l’uso di prodotti di categoria A. In Italia c’è solo un’azienda che offre questo standard sul prodotto pastorizzato. Anche qui ci sono autostrade economiche da esplorare.

Se i conservanti sono nemici della ricetta tradizionale della Colomba artigianale, durante il convegno è emerso che si sta ricorrendo a un “trucco” naturale, al più antico mezzo di conservazione degli alimenti: il sale. Per farlo assorbire meglio e limitare l’invasività del sapore, si usa il sale a velo. Su una colomba si possono utilizzare fino a 22 g per chilo di farina. E la shelf life si allunga.

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